Soul Eater AXE

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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:42 pm

9 - PARTNER

«Hei ragazzi!» gridò Maka, attirando l'attenzione del gruppo. I ragazzi guardarono la ragazza bionda, seguita dall'inseparabile coinquilino albino.
«Eccoti, Maka!» disse uno di loro, con una voce alta ed un po' stridula.
«Ragazzi, vi presento Emilia Harukaze. Viene dall'Italia e questo è il suo primo giorno di scuola qui alla DWMA.» disse poi Maka, presentandomi al gruppo, e rispose in coro: «Benvenuta Emilia.».


«Sa...salve, ragazzi...» salutai quel gruppo di ragazzi timidamente, che davano l'aria di essere tutti ottimi studenti della scuola e anche forti combattenti. Non osai avvicinarmi a loro. Rimasi al fianco di Maka. Però furono loro ad avvicinarsi a me.
Un ragazzo dai capelli blu con delle punte che andavano verso l'alto - quasi volessero disegnare una stella - e dagli occhi verde scuro mi si avvicinò, facendo solamente un grande salto. Per poco non mi cadeva addosso. Mi prese una mano, me la tirò e me la scosse fortemente: mi venne male alla spalla.
«Ciao, Emilia! Io sono Black Star. Ricordati il mio nome, perché un giorno io supererò gli dèi!» urlò quel ragazzo muscoloso. Black Star era un nome bizzarro, e non per caso aveva una stella tatuata sulla sua spalla destra.
Io lo guardai, abbastanza stranita. «Ehm...piacere Black Star.» gli risposi, balbettando. Doveva essere un pazzo quello lì, ma col tempo poteva anche diventarmi simpatico.
Black Star fu accompagnato da una ragazza molto alta, con tratti molto femminili. Faceva qualche gesto per cercare di calmare il ragazzo con la stella sulla spalla. Aveva lunghi capelli neri legati in una sottile coda di cavallo e due grandi occhi viola. Anche lei aveva una stella, ma stampata sull'abito, sulla parte del petto.
«Perdonalo.» mi disse quella fanciulla. «Comunque io sono Tsubaki Nakatsukasa. Sono la partner di Black Star, una Buki di tipo Arma Ninja Mutaforma.» continuò poi, trascinandosi Black Star a sé, mettendogli le mani davanti alla bocca. Anche lei sembrava abbastanza timida, ed aveva modi di fare tranquilli e gentili. Come faceva ad essere la partner di un tipo esuberante come Black Star?
«Piacere di conoscerti Tsubaki.» le risposi sorridente
Il suo era un bel nome, e sapevo che Tsubaki in giapponese voleva dire “Camelia”. Era un bel fiore la camelia. Saremo sicuramente andate subito d'accordo.
Da un lato, invece, mi apparvero accanto altre tre persone: un ragazzo un po' basso e con i capelli neri decorati da tre strisce nere al lato sinistro della testa mi guardò con quei suoi enormi occhi gialli e lo sguardo serio e distaccato: mi faceva impressione, soprattutto per il suo vestiario da funerale e la sua pelle pallida: sembrava un cadavere. Era accompagnato da due ragazze, anch'esse alte quasi quanto Tsubaki. Una aveva i capelli biondo scuro e lunghi e gli occhi piccoli e blu scuro; l'altra era poco più bassa, aveva i capelli biondo chiaro e corti e gli occhi grandi e celesti. Avevano tutte e due un vestiario simile e qualcosa mi diceva che erano sorelle.
Il ragazzo bruno mi allungò la mano e prese la mia, scuotendomela, ma meno violentemente di come fece Black Star e con più eleganza.
«Benvenuta alla DWMA, Emilia. Io sono Death the Kid, figlio dello Shinigami. Spero tu abbia una buona permanenza.» mi disse, con la sua voce profonda e il suo sguardo inerme. Mi fece ancora più inquietudine ora che avevo sentito la sua voce. Sul suo dito notai un grande anello d'argento raffigurante un simpatico teschio.
«Ed io invece sono Elizabeth Thompson, la prima partner di Kid. Sono una pistola.» aggiunse poi la ragazza con i capelli biondo scuro.
«Io invece sono Patricia Thompson. Chiamami Patty! Sono la seconda Buki di Kid, un'altra pistola.» concluse poi la sorella, che pareva essere la più esuberante dei tre.
«Piacere mio, ragazzi.» disse io, facendo uno strano sorriso.
D'improvviso mi sentii una mano sulla spalla, grande e calda: era quella di Soul. Sobbalzai all'improvviso contatto della sua mano sulla mia spalla, ma poi mi resi conto che era solamente il ragazzo dagli occhi rubino. Mi voltai verso di lui di scatto.
«Su, Emilia. Meglio che ti porti allo smistamento. Lì potrai trovare un partner con il quale combattere durante la tua esperienza.» mi disse Soul, sorridendomi mostrando i suoi denti aguzzi.
«Beh...certo!» gli sorrisi io, rispondendogli
«Ragazzi, torno subito. Posto Emilia allo smistamento.» disse poi Soul, rivolgendosi davanti ai suoi amici.
Poi ricevette una pacca sulla spalla da Black Star, che gli sorrise maliziosamente.
«Hehe, va bene amico. Buona fortuna con la ragazza.» gli disse a bassa voce, ma in modo che si potesse sentire.
Soul spalancò gli occhi e diede a Black Star un pugno sulla testa, come se si sentisse deriso.
«Smettila! on mi piace quando mi deridi, e lo sai.» lo rimproverò Soul, che pareva alquanto infastidito dalle parole dell'amico.
Intanto Black Star non pareva provare rimorsi per aver offeso Soul, e continuava a ridere. Ci provava gusto a mettere in imbarazzo il suo amico.
Anche io feci una leggera risatina, mentre Maka guardò la scena irritata. Tsubaki, invece, cercò di calmare i due, Patty si cimentò in un balletto senza senso, Liz fece uno sguardo come per dire “Siamo alle solite” e Kid rimase inerme.
Dopo qualche minuto Soul decise di lasciare Black Star e di accompagnarmi allo smistamento.
«Arrivo fra poco.» disse Soul, abbastanza innervosito, per poi portarmi con lui, mettendomi una mano dietro la schiena.
I nostri passi sembrarono sincronizzarsi. Durante tutto il tragitto nessuno dei due spiccicò una parola, causando un silenzio imbarazzante, ma almeno il vociare delle altre persone riempiva la scena di suoni.
Dopo un paio di minuti di camminata difficoltosa a causa della folla che i ragazzi formavano, arrivammo finalmente alla sala di smistamento.
C'era tanta gente, e trovare un partner sarebbe stato facile.
Prima di entrare nella sala, però, Soul mi prese per la spalla, quasi mi tirasse leggermente.
«Aspetta Emilia. Prima che tu entri voglio dirti un paio di cose riguardanti la scelta del partner.» mi disse lui, con sguardo serio. Non lo avevo mai visto così, ma dopotutto lo conoscevo da meno di 24 ore. «Trovane uno che può essere sintonizzato con il tuo io. Devo trovarne uno con il quale ti trovi bene, e che possa essere sulla tua lunghezza d'onda. Quindi scegli con attenzione.» mi spiegò il ragazzo albino. «Io torno dagli altri. Vedrai che un professore dovrebbe aiutarti a cercare il partner. Prendi il tuo cartello e cerca il tuo partner.» concluse poi Soul, questa volta facendomi un piccolo sorrisino, come volesse augurarmi la buona fortuna.
«Beh...grazie, Soul.» gli sorrisi io poi, entrando nella classe di smistamento.
«Figurati. A dopo.» mi salutò poi Soul. Mise le mani nelle tasche e sparì fra la folla, mentre io entrai nella sala, alla ricerca del mio partner.
Andai verso la cattedra, dove si trovavano due file di cartellini: una con su scritto “Weapon” e una con su scritto “Meister”. Presi un cartellino con scritto su “Weapon” e lo attaccai alla mia maglia ed inizia a guardarmi intorno.
Vedevo tante coppie formarsi subito, mentre facevano due risate e chiacchieravano amichevolmente.
Intanto descrivevano le loro abilità, e le Buki dicevano che tipo di arma erano.
Io, invece, non ero molto sicura di quale specie di arma fossi. Cosa avrei detto al mio futuro Meister? E come avrei potuto di nuovo mostrare la mia lama? E sarei riuscita a trasformarmi completamente?
Tutte le mie domande si dissolsero nella mia mente quando i miei occhi incontrarono un ragazzo a me familiare: era quel ragazzo che avevo incontrato nella terrazza della scuola, e se non ricordavo male aveva attaccato alla sua maglietta il cartello con su scritto “Meister”. Intanto rimaneva lì in un angolo, senza parlare con nessuno e senza sforzarsi di trovare una partner. Allora decisi di avvicinarmi a lui.
«Hei!» gli gridai io, cercando di attrarre la sua attenzione. Ed infatti ci riuscii.
Il ragazzo con il codino ed il ciuffo si voltò verso di me e, vedendomi, alzò le sopracciglia: doveva avermi riconosciuta.
«Hei, tu non sei quella ragazza che ho incontrato alla terrazza?» mi chiese il ragazzo, sorpreso di vedermi.
Io gli annuii, tendendogli anche la mano. Avevo intenzione di fare squadra con quel ragazzo, dopotutto era così timido, e di sicuro il mio carattere aperto lo avrebbe portato a farsi tanti amici, e gli avrei fatto conoscere Maka, Soul e tutti gli altri.
Il ragazzo mi guardò stranito, come se non avesse mai ricevuto una stretta di mano.
«Cosa fai?» mi chiese il ragazzo.
«Beh...potremmo fare coppia! Siamo uno Shokukin ed una Buki solitaria, possiamo fare coppia.» gli risposi io, sorridendo. «Io sono Emilia Harukaze.» mi presentai poi io.
Lui mi guardò, ancora più stranito di prima, per poi voltarmi lo sguardo. «Falla finita.» mi rispose poi, innervosito. «Perché non ti trovi qualcun'altro?» concluse il ragazzo.
Io lo guardai con sguardo interrogativo. «Ma dai! Non fare così!» gli dissi io, offesa per la risposta ricevuta dal ragazzo, ma tutto quello che lui fece fu allontanarsi, senza fiatare. Io lo seguii con lo sguardo, mentre si allontanava e si infilava tra gli studenti.
«Che antipatico!» dissi io, tra me e me. E così tornai a guardarmi intorno.
Altre coppie che si stavano formando: pareva non fosse rimasto più nessuno Shokukin libero. Avevo perso le speranze ormai, finché non scrutai da lontano un ragazzo alla ricerca di un partner. Intanto speravo che sul suo cartello ci fosse scritto “Meister”, e cercai di avvicinarmi a lui per verificare, ma l'impresa non fu facile. Per nulla.
Quella folla m'impediva di camminare.
Dopo svariati tentativi finalmente raggiunsi il ragazzo, e vidi con gran stupore che sul suo cartello padroneggiava la scritta “Meister”, mentre sembrava aver perso le speranze. Non riusciva a trovare il partner ideale.
«Hei!» feci io, per attirare la sua attenzione.
Il ragazzo mi sentì, e i suoi occhi castani puntarono verso di me.
«Uh? Salve!» mi rispose lui, sorridente e timidamente.
«Non ho fatto a meno di leggere “Meister” sul tuo cartello. Cerchi una Buki?» gli chiesi io, sperando fosse libero come pensavo io.
«Ecco...sì. Sto cercando una Buki.» disse lui imbarazzato, e guardandosi intorno.
«Beh, l'hai trovata!» risposi io, entusiasta. «Sono Emilia Harukaze e sarò la tua Buki! Tu?» mi presentai io, allungandogli la mano.
Lui mi guardò stupito, forse contento di avere finalmente un partner.
Mi prese la mano e mi sorrise.
«Rei Sado! Sarò il tuo Shokukin!» rispose lui, sorridente.
Sarebbe stato l'inizio di una grande amicizia.
EmiHaru

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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:45 pm

10 - FRANKEN STEIN

Dopo svariati tentativi finalmente raggiunsi il ragazzo, e vidi con gran stupore che sul suo cartello padroneggiava la scritta “Meister”, mentre sembrava aver perso le speranze. Non riusciva a trovare il partner ideale.
«Hei!» feci io, per attirare la sua attenzione.
Il ragazzo mi sentì, e i suoi occhi castani puntarono verso di me.
«Uh? Salve!» mi rispose lui, sorridente e timidamente.
«Non ho fatto a meno di leggere "Meister" sul tuo cartello. Cerchi una Buki?» gli chiesi io, sperando fosse libero come pensavo io.
«Ecco...sì. Sto cercando una Buki.» disse lui imbarazzato, e guardandosi intorno.
«Beh, l'hai trovata!» risposi io, entusiasta. «Sono Emilia Harukaze e sarò la tua Buki! Tu?» mi presentai io, allungandogli la mano.
Lui mi guardò stupito, forse contento di avere finalmente un partner.
Mi prese la mano e mi sorrise.
«Rei Sado! Sarò il tuo Shokukin!» rispose lui, sorridente.
Sarebbe stato l'inizio di una grande amicizia.


«Sai già che tipo di arma dovresti essere?» mi chiese Rei, che pareva non stare più nella pelle per iniziare la sua prima lezione alla DWMA. Intanto mi fece un grosso sorriso, e mise le mani dietro la testa.
«Ecco...io...» gli risposi, alzando lo sguardo al cielo, e facendomi tornare in mente la lama che mi uscì qualche mese fa dal braccio.
Ricordavo una grossa lama che mi spuntava dal braccio, molto ampia e apparentemente molto tagliente e pericolosa, ed anche robusta. Ma più mi sforzavo più non riuscivo a capire che tipo di arma io fossi.
Dopo qualche secondo passato a pensare, calai la testa e scossi la testa in segno di risposta negativa, con dispiacere. Anche io ero molto curiosa di sapere che tipo di arma io fossi.
«No, mi dispiace. So solo che sono un'arma da taglio, apparentemente gigantesca.» gli risposi io, tristemente e cercando ancora di capire cosa fossi.
Sentendomi dire “Arma da taglio apparentemente gigantesca”, a Rei iniziarono a brillare gli occhi, come se avessi descritto “La Buki più potente del mondo”, e mi guardò con aria entusiasta.
«Una gigantesca arma da taglio? Ma è fantastico!» gridò Rei, ancora più entusiasta di prima. Mi guardò con aria felicissima e la bocca spalancata, tenendomi le mani.
«Beh...grazie mille, Rei.» gli risposi io, felice di sapere che gli faceva piacere avere una partner come me.
«Allora dobbiamo subito scoprire cosa sei e farti diventare la più potente Death Scythe del mondo!» gridò di nuovo Rei, iniziando a fare castelli in aria sul suo futuro da Shokukin di una Death Scythe.
Nemmeno a me dispiaceva diventare Death Scythe, anzi. L'idea mi garbava molto. No, la adoravo.
Quel ragazzo sì che era alla mia portata. Mi avrebbe saputo trascinare in nuove avventure. Eppure io non ero portata per queste cose, come il pericolo, ma lui mi avrebbe fatto scoprire queste nuove emozioni.
Sì. Era lui il mio partner ideale.
Ormai avevo dimenticato quel ragazzo cupo che incontrai sulla cima della grande scalinata. Quello di sicuro non era fatto per me e non sarebbe stato compatibile con il mio io. Invece Rei era perfetto.
«Chissà cosa sarai. Una falce? Una spada? Od un arma medievale!» disse Rei, parlando fra sé e sé e fantasticando sulla mia forma arma.
D'improvviso la porta si aprì e tutte le matricole in quella stanza zittirono, voltando lo sguardo ad un uomo con un camice bianco, colui che attraversò la soglia.
L'uomo si aggiustò gli occhiali per poi mettere le mani nelle tasche del camice da dottore che portava. «Buongiorno, matricole.» disse poi entrando.
«Buongiorno.» rispondemmo tutti insieme ad unisono. Alcuni si inchinarono persino, quasi volessero portare rispetto per quell'uomo. In effetti sembrava fosse uno dello staff della scuola. La stanza fu regnata dal silenzio e tutti fissavamo l'uomo. Aveva i capelli grigi e gli occhi verde scuro, coperti da un paio di lenti. Intorno all'occhio sinistro c'era una cicatrice che gli girava intorno. Sulla testa aveva incastrata una grossa vite nera. Indossava -come detto prima- un camice da dottore, decorato da cicatrici, e sotto una maglia ed un paio di pantaloni grigio scuro, anche quelli decorati da cicatrici.
Tra i denti aveva una cicca di sigaretta, ed era molto alto.
L'uomo si rigirò la vite che aveva nel cranio, e una nuova di fumo che proveniva dalle labbra si espanse davanti al suo viso.
«Spero che voi tutti abbiate una buona permanenza in questo istituto. La DWMA è stata fondata per allenare voi studenti alla lotta, perché voi un giorno sarete la polizia del mondo, e lo proteggerete dall'attacco di streghe e demoni. Ovviamente avrete anche un obiettivo da raggiungere. Come vuole il sommo Shinigami voi Shokukin dovrete collezionare 99 anime di kishin ed una di strega per far sì che il vostro partner diventi una Death Scythe, l'arma dello Shinigami.
«Ora che siete qui alcuni di voi avranno già scelto il proprio partner. Ma chi non lo avesse fatto dovrà scegliere bene. Dovrete scegliere una persona che sia sulla vostra stessa lunghezza d'onda o non riuscirete mai a diventare Death Scythe o, nel caso degli Shokukin, non sarete mai al livello tre.
«Bene, chi ha già scelto il partner venga con me. Li porterò al dormitorio della DWMA.»
Ascoltai attentamente il discorso di quell'uomo che, ogni tanto, girava la vite che aveva nella sua testa.
D'improvviso un braccio avvolse il mio: era quello di Rei, che mi tirò leggermente verso di lui. «Su, Emilia. Dobbiamo raggiungere il professore.».
Rei già sapeva che era un professore? Forse era originario stesso di Death City.
In ogni caso ci dirigemmo verso la porta, come tutti i partner accoppiati, per farci indicare la strada per il dormitorio. Intanto la stanza si riempì di nuovo di chiacchiere e risolini delle matricole che stavano cercando un partner con il quale fare coppia.
Camminammo a fatica e dall'uscio della stanza non si poteva passare, ma per fortuna riuscimmo a raggiungere il professore, che già stava assegnando vari ragazzi e ragazze ai rispettivi capi dei dormitori.
«Salve, professore.» gridò Rei, agitando il braccio e attirando l'attenzione dell'uomo con la vite.
Costui si girò verso di noi, e parve quasi riconoscerci. Anzi, riconoscermi.
«Hei, tu...sei per caso Harukaze Emilia, la ragazza italiana?» mi chiese lui, girandosi nuovamente la vite.
Come faceva a conoscermi? Era già inquietante di suo, ma il fatto che conoscesse il mio nome e la mia provenienza era alquanto spaventoso.
«Io sono il professor Franken Stein. Maka mi ha parlato di te. Mi ha chiesto di affittare a te ed al tuo partner un appartamento in periferia. E non preoccuparti, alle spese ci ha pensato la scuola. Venite, che v'accompagno.» disse il professore, facendoci cenno di seguirlo, e così fu.
Intanto mi calmai non appena seppi che era stata Maka a raccontare a Stein di me.
Mentre Stein ci accompagnava all'appartamento l'uomo ci riempì di domande, così da attaccare discorso e per non farci calare in un silenzio imbarazzante.
«Allora, giovanotto, come ti chiami?» chiese Stein a Rei.
«Rei Sado. Vengo da Okinawa.» rispose il mio partner.
«E dimmi...dove andrete? Nella classe EAT o NOT?» chiese di nuovo il professore.
«Nell' EAT, ovviamente!» esclamò Rei, entusiasta.
«Scusi, professore. Quali sono le differenze fra l'EAT e il NOT?» osai chiedere io, curiosamente.
«La differenza fra queste due classi...» spiegò Stein «è che nell'EAT gli alunni ricevono un addestramento per poi diventare combattenti. Mentre nel NOT i ragazzi affinano le loro abilità, per poi condurre una vita normale.».
Dopo una piccola chiacchierata ci ritrovammo davanti ad un palazzo. Stein prese un mazzo di chiavi e aprì il portone, per poi portarci al secondo piano.
Ci dirigemmo alla porta a destra, dove il professore ci aprì la porta con lo stesso mazzo di chiavi.
Quando aprì la porta diede le chiavi a Rei. Il mazzo di chiavi era abbastanza piccolo, giusto per aprire il portone, l'appartamento e la cassetta delle lettere.
«Ecco a voi.» disse Stein, facendoci entrare nell'appartamento.
Non era molto grande, ma bastava per due persone. C'era un salotto, una cucina, due bagni e una camera da letto con due letti singoli. Gli unici arredi erano tavoli, sedie, due letti, l'angolo cottura e gli utensili del bagno.
«Bene ragazzi, vi lascio a voi. Ricordo solo che ogni settimana riceverete una paga dalla scuola per tutte le vostre esigenze. Ci vedremo domani mattina a lezione.» disse il professore, allontanandosi. Io, intanto, gli corsi dietro e lo bloccai prendendogli un braccio. «Professor Stein.» lo chiamai.
Stein si girò verso di me. «Dimmi, Emilia.» disse poi lui, guardandomi attraverso il vetro dei suoi occhiali sottili.
«Ecco...appena la incontra...ringrazi Maka da parte mia!» gli chiesi io poi.
Stein mi sorrise, intenerendo lo sguardo, per poi sfregarmi la testa con la sua grande mano. Era poco più grande di quella di Soul, e il suo tatto mi ricordò molto quel ragazzo. «Certo.» mi disse lui. «La ringrazierò da parte tua.».
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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:48 pm

11 - TRASFORMAZIONE

Finalmente il sole s'alzò nel cielo e tutta la città si svegliò. Quella sarebbe stato il mio primo giorno di scuola alla DWMA, ma non parevo tanto entusiasta dato che, alle 7,00 del mattino ero ancora immersa nei miei sogni, sdraiata sul mio letto. Non m'ero resa conto che era già passata una nottata.
A svegliarmi però fu un grande rumore, proveniente da pochi metri da dove dormivo: era Rei che aveva sbattuto la porta della mia camera.
«Su, Emilia! Non puoi star ancora dormendo!» gridò Rei, aprendo bruscamente le tende della finestra della camera.
I raggi del sole iniziarono a espandere la loro luce nella stanza, rendendo il tutto meno cupo.
Mi dovetti coprire gli occhi con le mani, datosi che non ero ancora abituata alla luce. Intanto aprii i miei occhi piano, per riuscire a sopportare quell'immensa luce mattutina.
«Rei, non dovresti svegliarmi in questo modo, sai?» lo rimproverai io.
«Dovresti ringraziarmi, Emily. Se non fosse stato per me a quest'ora staresti ancora dormendo.» mi rispose lui, incrociando le braccia.
A vederlo sembrava già pronto da un pezzo. Aveva una felpa rossa e dei jeans larghi, ed ai piedi delle scarpette bianche.
«Su, preparati. La colazione è già pronta.» concluse poi il ragazzo castano, uscendo dalla camera.
Intanto io indossai i miei occhiali e rimasi seduta per qualche secondo sul letto, per poi alzarmi e stiracchiarmi per bene. Poi mi vestii.
Riuscimmo poi a raggiungere la scuola in tempo, ed arrivammo anche in tempo per salutare Maka e Soul, che si avvicinarono a noi.
«Ciao, Emilia!» mi salutò Maka, sorridendomi. «Ho saputo che hai finalmente trovato un partner.» continuò poi la ragazza coi codini, felice della notizia.
«Sì, esattamente!» le risposi io, facendole un sorriso. «Si chiama Rei Sado.» dissi poi a Maka, voltandomi verso di lui per poi vedere, con gran stupore, che aveva già preso confidenza con Soul.
«Caspita! Una falce?» diceva Rei, mentre guardava Soul da ogni angolazione e con grande interesse, quasi lo stesse studiando. «E sei anche quasi Death Scythe! Ma allora devi essere fortissimo.» concluse poi lo Shokukin, ammirando la falce umana.
Intanto Soul dava l'aria di vantarsi.
Io feci una piccola risata divertita, mentre Maka tirò fuori dal nulla un grosso librone, guardando la scena irritata, e borbottò parole del tipo «Deficiente.» o roba simile.
Dopo un po' cominciarono le lezioni, ed entrammo tutti nelle nostre classi.
Quando entrai nella mia m'incantai all'entrata: era un'aula enorme, con panchine su cui sedersi, come fosse stata un'università.
La cattedra si trovava a qualche metro di distanza dal primo banco, sotto la quale c'era un gradino, e dietro c'era un'enorme lavagna nera.
Guardai la classe per una manciata di secondi, prima che Rei mi chiamasse per andare a sedere.
«Emily, che fai lì impalata?» gridò il mio Shokukin, attirando la mia attenzione.
Io scossi la testa, tornando alla realtà. «Ah! Arrivo, Rei!» gli risposi, correndo verso di lui, che intanto era già in mezzo alla classe.
Ci sedemmo ai banchi del secondo piano, dove potevano vedere bene tutta la lavagna - non di certo come i ragazzi che si sedettero al sesto piano, ma avevamo una buona visione da lì.
Ci fu chiasso per un paio di minuti, per poi zittire del tutto dopo l'entrata di un grosso individuo dalla pelle blu e tatuato sulle braccia. Costui aveva gli occhi vuoti ed un berretto bianco sulla testa, dove vi erano capelli alla giamaicana. Le labbra erano inesistenti e si vedevano due file di denti perfettamente bianchi e dritti ed il naso schiacciato.
Portava una maglia rossa con una tomba stampataci sopra e dei jeans blu.
Aveva l'aria di essere uno dei professori più bruti e severi della scuola.
«Buongiorno, ragazzi!» disse il professore, con la sua voce un po' roca, ma molto imponente.
«Io sono Sid Barrett, il vostro professore. Vi insegnerò a combattere come si deve!»
Io rimasi impressionata dall'aspetto dell'uomo dalla pelle blu, e m'accorsi che non ero la sola ad esserlo. Un po' tutti lo guardarono stranamente, ma il professore non pareva farci caso.
Sid iniziò a spiegare un po' tutto quello che riguardava l'andamento scolastico e il programma che noi studenti avremmo seguito.
Ci disse anche che la nostra missione non era solo quella di sconfiggere i demoni e le streghe in giro per il mondo, ma avevamo anche il compito di raccogliere 99 anime di kishin ed una di strega per poi diventare la tanto famigerata Death Scythe, l'arma del Sommo Shinigami.
Intanto si presentarono altri professori: c'era una donnina giovane e bionda, che portava una benda all'occhio sinistro, Marie Mjolnir, una donna dai capelli corti e neri, con un vestito molto elegante e che portava un paio di occhiali rettangolari, Yumi Azusa ed un uomo dai capelli rossi e gli occhi verdi con lo smoking e una grossa cravatta a forma di croce, Spirit Albarn. Dal cognome di quest'ultimo potevo capire che era un parente di Maka, ma era talmente giovane che non riuscivo a capire se fosse il padre od il fratello maggiore.
Insieme a loro collaboravano Sid Barrett e Franken Stein.

La lezione - se così si poteva definire - finì, e nei corridoi si formò una gran folla, ma non peggiore come il giorno dello smistamento. Ci si poteva muovere facilmente.
Mentre io e Rei parlavamo del più e del meno mentre percorrevamo il corridoio, d'improvviso vidi una figura agitarsi poco più in fondo.
Era Black Star che, alquanto pareva, stava parlando con una persona. Anzi, stava lamentandosi.
Non appena io e Rei lo raggiungemmo lo guardammo, incuriositi.
«Hei, Black Star, che stai facendo?» gli chiesi io, un po' preoccupata.
Il ninja si girò verso di me. «Ehi! Ciao, Emilia.» mi gridò, facendomi un grosso sorriso e mettendomi pesantemente le mani sulle spalle. «E quello chi è?» mi chiese poi Black Star, guardando Rei quasi sospettoso e alzando un sopracciglio.
«Io? Io sono Rei Sado, lo Shokukin di Emilia!» gli rispose fieramente il mio partner, mettendosi addirittura una mano sul petto.
Black Star fece un piccolo salto all'indietro, guardandoci entrambi con occhi brillanti e gioiosi.
«Partner? Quindi fate coppia? Ma è perfetto! Yahoo!» gridò nuovamente Black Star entusiasta «Stavo proprio cercando una squadra con la quale combattere. Avevo voglia di combattere contro qualcuno.» concluse poi il ragazzo con la stella sulla spalla.
«Co-combattere?» sobbalzai io. «Ma io non riesco ancora a trasformarmi in arma!»
«Meglio per te!» rispose Black Star, trasferendo le mani sui suoi fianchi. «Vi allenerete per affinare le vostre particolarità. Così quando vi affideranno una missione sarete già abbastanza pronti, no?» concluse poi il ninja.
Missione. Quella parola bastò per mandare Rei in estasi. Non ci pensò due volte ed accettò la sfida.
«Ci sto, Black Star!» rispose poi il mio Shokukin, tendendo la mano a Black Star, che gliela strinse.
In poco tempo io, Rei, Black Star e Tsubaki ci trovammo fuori la terrazza della scuola, faccia a faccia.
Eravamo a pochi metri di distanza gli uni dagli altri.
«Allora, pronti?» chiese Black Star, deciso.
«Io sono nato pronto.» rispose Rei.
D'un tratto Tsubaki venne avvolta da una luce bianca, per poi trasformarsi in una kusarigama. Era bellissima quella forma. Due falcetti con le lame di fetto e ben affilate legate da una catena. Doveva essere veramente potente.
Noi, invece, non ebbimo il tempo di preparaci che Black Star iniziò ad attaccarci.
Io cercavo di trasformarmi, ma non ci riuscivo.
Forse ero troppo concentrata a schivare i colpi di Black Star.
Forse perché non ne ero capace.
«Emily, che aspetti! Trasformati!» mi gridò Rei.
«Non ci riesco!» gli risposi io, in preda al panico.
«Cosa fate? I vigliacchi? Svegliatevi!» gridava Black Star, che si stava esibendo in acrobazie e faceva girare la kusarigama in tutti i modi possibili.
Intanto io e Rei schivavamo, mentre cercavo di trasformarmi in arma.
D'improvviso un grido da lontano. Un grido d'incoraggiamento. «Emilia! Credi in te! Se focalizzi l'arma che è in te riuscirai a trasformarti!»
Quella voce era familiare.
Mi girai verso la direzione del suono: era Maka affiancata da Stein, che mi stava incoraggiando a trasformarmi.
«Puoi farcela, Emilia! >> mi girdò di nuovo la Shokukin bionda.
Io le annuii e chiusi gli occhi, cercando di trasformarmi. E d'improvviso mi ritrovai in uno strano stato di trans.

Io sono un'arma.
Io devo trasformarmi.
Devo trovare l'arma che giace dentro di me.
Cos'è quella grossa lama che esce dal mio braccio?
Devo cercarla nella mia essenza.
Nel mio io.
Nella mia anima.


D'improvviso anche io mi ritrovai avvolta da una luce bianca e luminosa, mentre sentivo il mio corpo cambiare forma.
In pochi secondi mi ritrovai fra le mani di Rei. Una lunga asta d'argento, con un decoro rococò d'oro alle due estremità e qualche piccolo diamante incastonato all'interno. Un'ampia lama di ferro, molto tagliente all'apparenza, di colore oro.
Rei e Black Star mi guardarono stupiti. E Maka e Stein non furono da meno.
«Quella è...un'Ascia d'Oro.» disse Stein, stupito di ciò.
«Un'ascia? Per giunta d'oro?» disse stupito Rei, guardandomi incantato. Intanto dalla lama uscì un mio riflesso.
«Questa...è l'arma che giaceva in me?» mi chiesi retoricamente. Non riuscivo ancora a crederci di essere riuscita a trasformarmi, e apparentemente sembravo molto potente.
Black Star finì facendo un ghigno. «Allora si comincia sul serio ora.» disse il ninja, con aria di sfida e stringendo fra le mani la sua kusarigama.
«Sì, Black Star. Preparati ad essere canzonato!» ribatté Rei, sorridendo maliziosamente.
«Sì, come se fosse facile.» concluse poi Black Star.
Intanto Stein accese una sigaretta, per gustare meglio la sfida. «Bene. Si dia inizio al duello.»
EmiHaru

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Soul Eater AXE - Página 2 Empty Re: Soul Eater AXE

Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:50 pm

12 - PASSATO

Mi recai in città, precisamente in un mercatino, che era molto affollato.
Anche io stavo girando per la via della mercanzia, facendo la spesa.
Mi fermai davanti al bancone del fruttivendolo, a comprare qualche cavolo. Mia moglie aveva detto che se non lo avessi fatto mi avrebbe “ucciso”.
D’improvviso mi ritrovai una ragazza accanto a me. Era alta e leggermente in carne, ma il suo viso era stupendo: aveva due occhi smeraldo e un sorriso gioioso stampato sul viso. Aveva lunghi capelli color cielo, ma aveva una voce un po’ maschile, ma dava l’aria di essere simpatica.


«Emilia.» il sussurro di una voce maschile mi fece cadere dalle nuvole, e mi girai verso il suono: era Soul, che aveva visto che mi ero incantata d’improvviso. Stavo pensando al duello che io e Rei avevamo avuto il girono prima con Black Star, ma mi è bastato pensare alla figura di quel ninja che subito mi venne in mente l’immagine di quella donna, come se l’avessi conosciuta in passato.
Era un’altra delle mie visioni strane.
Scossi la testa, e sentii di nuovo la voce di Soul, che mi dava anche delle leggere gomitate.
«Ehi, Emilia. Tutto bene? Mi sembri distratta.» mi chiese la falce umana, guardandomi in tono abbastanza preoccupata.
Io scossi nuovamente la testa, mettendo a fuoco l’immagine dello pseudo-albino.
«Oh. Eh…sì! Sì, tutto bene. Stavo solo pensando.» gli risposi, ancora stordita. Ero come entrata in una specie di fase REM senza dormire.
Intanto le mie orecchie iniziarono anche a sentire una voce che stava spiegando: era il professor Albarn che stava spiegando una cosa a proposito della scienza dell’anima e della risonanza che due anime posso avere se sono in grande affinità.
Mi voltai dall’altra parte, vedendo Rei che prendeva appunti e che ascoltava attentamente l’uomo dai capelli rossi. Poi decisi di seguire anche io la lezione come tutti gli altri. Ma senza nemmeno accorgermene ecco che iniziai a viaggiare nuovamente nella mente, riportando alla mente quella strana visione.

«Salve, signorina.» gridò il mercante di frutta alla donna dagli occhi celesti. «In cosa posso servirla?» le chiese poi.
«Mi dia un sacco di patate da 1 chilo, grazie.» rispose la donna, con quella voce un po’ grossa.
Io intanto la guardavo, pensando che se ci fosse stata mia moglie mi avrebbe dato del guardone e m’avrebbe tirato un orecchio, e di certo il tocco della mia amata non era uno dei più delicati, ma era proprio questo che mi fece innamorare di lei cinque anni fa.
Forse è proprio questo che mi piace di una donna: quel pizzico di mascolinità, e la donna che avevo accanto ne aveva una gran quantità. Infatti non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
«Sì, solamente un secondo, signorina.» disse il mercante, che s’allontanò per prendere ciò che la donna gli chiese. Io, intanto, aspettavo il mio turno.
La donna doveva essersi sentita osservata, dato che mi rivolse lo sguardo. I suoi occhi smeraldo puntarono verso di me, e mi squadrarono come se fossi un qualcosa di inumano. D’improvviso mi sentii a disagio, o meglio dire mi sentivo “un guardone”.
«Embeh? Che hai da guardare tu?» mi chiese, stringendo le sopracciglia.
Io guardai la donna spalancando gli occhi, per poi voltarmi di scatto dall’altra parte, arrossendo.
«No. Nulla!» gridai io, imbarazzato e guardandola con la coda dell’occhio.
La donna scrollò le spalle, tornando a guardare il fruttivendolo che intanto aveva portato quel chilo di patate che gli era stato richiesto.
«Ecco a lei, signorina.» le disse sorridente e porgendole la busta con la merce. «Fanno cinque danari.» aggiunse poi il fruttivendolo.
Senza esitare la fanciulla porse all’uomo i soldi dovuti, per poi ringraziarlo e salutarlo.
Poi venne il mio turno.
«Mi chieda, signorino. In cosa posso servirla?» mi chiese sorridendo.


D’improvviso la campanella suonò, segnando la fine delle lezioni e facendomi risvegliare da quella specie fase di sogno in cui ero caduta nuovamente.
«Hei, Emily!» mi sentii scuotere e, voltandomi, vidi Rei che tentava di svegliarmi. «Emily, stai dormendo?» continuò il mio Shokukin.
Io scossi la testa. «Uh? Non so cosa mi sia successo…» dissi io, in tono pensieroso e mettendo una mano sulla testa. Intanto gli alunni della classe stavano uscendo lentamente dall’aula.
«Su, andiamo.» dissi io, alzandomi dal mio posto e sorridendo al mio partner.
Rei mi ricambiò il sorriso. «Ok.» mi rispose lui, con il suo solito fare energico. Poi ci avviammo verso l’uscio dell’aula.
«Emily, oggi mi sei sembrata un po’ distratta.» mi disse Rei «Non pareva che stessi seguendo la lezione.»
«Oh, sì…» replicai distrattamente «…se te lo dico prometti di non svelare questa cosa a nessuno?» gli chiesi poi timidamente.
Lui poi mi guardò, impietosito. Mi fece un leggero sorriso, mi prese le mani e poi rispose: «Non preoccuparti. Il nostro rapporto Buki-Shokukin non si basa solo nell’aiutarsi, ma anche nel fidarsi l’uno dell’altra e viceversa. Se hai qualcosa da dirmi che non vuoi far sapere dimmelo con tranquillità. Io terrò acqua in bocca finché non avrò vita.» .
Gli sorrisi anch’io. «Andiamo nella terrazza della scuola. Qui anche i muri hanno orecchie.» proposi al mio partner, iniziandomi ad allontanare. Rei, infatti, iniziò a seguirmi e ci dirigemmo verso la terrazza della scuola.
Da quel punto si poteva ammirare l’intera città di Death City, e la vista era bellissima.
Non ho mai capito perché una città così bella si potesse chiamare “Città della Morte”.
Ci appoggiammo sul davanzale della terrazza, mentre il sole – che pareva avere la faccia appesantita – picchiava forte sulle nostre teste, però tirava un leggero venticello.
«Allora, Emilia? Cosa volevi dirmi?»mi chiese Rei, salendo sul davanzale per poi sedersi lì.
«Beh, Rei… è dall’infanzia che ho visioni strane, e molto spesso mi mandano in un’improvvisa fase REM facendomi anche vedere giornate quotidiane di persone vissute molto tempo fa. Eppure e come se fossero veramente ricordi, e non stupide fantasie da ragazzina. A lezione, pensando allo scontro che abbiamo avuto con Black Star d’improvviso ho stranamente “ricordato” una donna che andò dal fruttivendolo molti secoli fa che gli assomigliava molto.» gli spiegai io, in preda al terrore.
Rei mi guardò stranito: probabilmente non aveva capito nulla. Forse era un concetto un po’ complicato per lui, o non ero stata in grado di spiegarglielo bene. Però non rispose.
«E non è tutto. A volte, se mi concentro su una persona vedo una piccola sferetta azzurra spuntare dal corpo.» continuai io, con gli occhi spalancati.
Rei non mutò sguardo per qualche secondo. Poi  scosse la testa. «Non so cosa dire. Dovremmo chiedere ad un esperto.»  rispose il mio Shokukin, iniziando a preoccuparsi.
«Non so nemmeno se parlarne con Maka…» dissi io, sospirando. «Ho paura che nemmeno lei, membro Senior della DWMA, abbia la risposta.»
Rei sospirò, poi mi mise le mani sulle spalle e mi sorrise. «Hei, Emily, non abbatterti! Vedrai che troveremo una risposta. Forse è qualcosa di vantaggioso! Chissà? Fidati di me. E ora andiamo! Sta per iniziare la seconda lezione.» concluse Rei, trascinandomi verso l’entrata della scuola. Quell’ora la passammo a vedere come un’arma, entrando in un gran sintonia con il suo artigiano, possa anche muoversi da sola senza l’ausilio dei movimenti del partner e anche di come una Buki possa essere un mezzo di trasporto.
Alla terza ora, invece, dovevamo sfidare un ragazzo del nostro stesso livello, arrivato da poco.
«Con chi ho il piacere di combattere?» chiese Rei, impugnandomi con decisione.
«Io sono Endless Mercy, la cacciatrice di anime. E lei è la mia partner Bleeding Berry, il fucile del cacciatore di cervi. E voi, invece?» disse una ragazza, molto alta e castana e vestita con abiti dai colori che ricordavano la foresta.
«Io sono Rei Sado, il falegname degli inferi. E lei è Emilia Harukaze, l’Ascia D’Oro del Falegname.»
E dopo questa presentazione iniziammo a combattere contro le due avversarie. Erano forti per essere del primo anno e di livello 1. E poi il fucile che bramava Endless Mercy era stupendo, sembrava veramente un’arma da caccia (non a caso si definiva “la cacciatrice”).
Dopo quindici minuti circa il duello finì in parità, non che ci dovesse essere un vincitore ed un vinto. Dopotutto era solamente una lezione, non stavamo combattendo contro demoni o streghe.
Seguirono altri duelli e, per finire, altre ore di lezione.
«Caspita, oggi è stata una giornata alquanto movimentata..» disse Rei, stiracchiandosi le braccia.
«Già. Appena torniamo a casa devo stendermi. Niente scuse.» replicai.
«Come vuoi. Vuol dire che oggi cucinerò io.»
«Vedi di non combinare disastri.» dissi ridendo.
«Naaah, non preoccuparti. Sono bravo ai fornelli.» rispose lui, sicuro di sé.
Intanto ci dirigevamo verso l’uscita dell’istituto e, dopo aver passato la serata nella più completa tranquillità e normalità ecco che, appena mi sdraiai sul letto, iniziarono di nuovo quelle strane visioni.
Di nuovo quella visione di quella coppia.


«No. No. NO!» una donna coi capelli argentati si lasciò cadere con le ginocchia per terra, in lacrime, guardando una delle scene più crude alle quali si potevano aspettare.
Guardava con gli occhi spalancati ed il corpo paralizzato dalla paura un uomo che veniva assassinato.
Era suo marito. E l’assassino ero io. Io.
Perché? Ah, certo. Mia moglie stava commettendo adulterio con quell’uomo, e la donna che stava guardandoci non lo sapeva.
«Ka…Karma…» sussurrò l’uomo prima di morire.
Quella fanciulla, subito dopo, scoppiò in un pianto misto fra il disperato e lo spaventato.
Io la guardo, un po’ dispiaciuto per averle portato via l’amato. Intanto, però, mi sentivo realizzato per aver “punito” mia moglie togliendole l’oggetto con il quale osava tradirmi.
«Perché lo hai fatto?» mi chiese la donna furiosa.
«Adulterio, mia cara.» le risposi freddamente, buttando il corpo dell’uomo per terra indecentemente. «Sia mia moglie che tuo marito ci stavano tradendo. Avresti fatto lo stesso se solo avessi fiducia in ciò che dico, Karma.»
«Tu stai mentendo. Mio marito non può avermi tradita! Tu sei solo un pazzo che trova gusto nel commettere omicidi!» Karma s’alzò con fatica e con gli occhi gonfi per il pianto. Eppure non provavo nessun tipo di sentimento di tenerezza verso quella donna.
Dovevo essere stato proprio un mostro.
«Ti ho detto che non sono pazzo!!» gridai io, con tono di rimprovero verso quella povera donna, che iniziò ad allontanarsi, correndo sempre più veloce.
Non sapevo per quale motivo, ma la seguii, finché Karma non si fermò al bordo di una scogliera. Io rimasi a pochi metri di distanza dalla donna.
Il mare, quel giorno era agitato, e s’infrangeva violentemente sulle rocce della scogliera.
«Ascoltami Karma: io non sono un pazzo. Ci metto la mano sul fuoco che Sebastiano e Una ci stavano tradendo. Te lo giuro.» gridai, cercando di accavallare il rumore delle onde che si schiantavano sugli scogli.
«Non giurare il falso, Walter. Ti potrebbe succede qualsiasi cosa. E ora lasciami in pace.» replicò, avvicinandosi sempre di più al bordo dello scoglio.
«Che intenzioni hai?»
«Zitto! Non puoi fermarmi!»
«Karma!»
«Va al diavolo!»
«KARMA!»
E subito dopo la donna sparì, gettandosi nel mare all’indietro.
E di Karma nessuno ebbe più notizie…
EmiHaru

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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:53 pm

13 - MISSIONE

Mi svegliai dopo una notte passata quasi in bianco, per colpa di quella continua visione. Ma ormai era così frequente che non ci facevo più caso. Non lo raccontai nemmeno a Rei, tanto non poteva farci nulla quel poveretto.
«Dormito bene, Emilia?» mi domandò Rei, versandomi del thè.
«Non esattamente, ma ho dormito abbastanza.» risposi io, quasi scherzando. «Non riuscivo a stare comoda.» mentii, per non far preoccupare Rei.
«Dai, prendi questo, e ti darà le giuste energie.» disse, porgendomi la colazione.
E dopo aver mangiato ed esserci preparati, io e Rei eravamo finalmente pronti per una nuova giornata scolastica.
Salimmo la grossa scalinata, dove trovai, come al solito, quel ragazzo con il ciuffo nero e con quell’aria cupa. Aveva ancora il cartello con su scritto “Meister”, e questo voleva dire solo una cosa: quel ragazzo era ancora solo, senza un partner con il quale combattere contro i nemici.
Ogni volta che passavamo però ci guardava con la coda dell’occhio. Io lo sapevo, ed infatti ricambiavo sempre il suo sguardo con aria fredda, proprio come lui. Era sempre così freddo, ci credevo che non avrebbe mai trovato nessuno con il quale fare coppia.
«Allora, Emilia. T’addormenterai di nuovo in classe oggi?» mi chiese una voce proveniente da dietro: era Soul, che tentava di stuzzicarmi.
Non gli risposi. Gli presi un braccio e glielo misi dietro la schiera, tirandoglielo.
Intanto il ragazzo semi-albino faceva qualche lamenti di dolore silenzioso.
«Ahi. Ok, scherzavo! Scherzavo!» disse la falce frettolosamente e dolorante, ed io gli lasciai il braccio.
«Non farmi arrabbiare che potrei diventare una furia. Non hai idea di quello che posso fare.» gli dissi io, in tono molto severo ed innervosita per la presa in giro. Infatti incrociai le braccia e rivolsi lo sguardo al pavimento, accigliandomi.
«Hei, che succede?» Maka intervenne nel discorso, parlando con la sua vocina delicata.
«Il tuo partner, ecco che succede.» replicai innervosita.
E senza nemmeno pensarci due volte, Maka sfilò dal nulla un libro enorme e all’apparenza molto pesante, e in un secondo Soul si ritrovò la testa perforata e con il corpo per terra, paralizzato dal dolore.
«Maka-CHOP!» gridò la ragazza coi codini. «Smettila di infastidire Rei ed Emilia.»
Soul non rispose. Rimase a terra stecchito.
A me ed a Rei scappò una leggera risata.
Dopo un paio di minuti entrammo nell’istituto, dove notammo subito la gran folla che si era formata davanti alla bacheca scolastica, e la cosa non ci incuriosì poco.
Andammo subito lì, a controllare cosa scatenasse quello strano interesse verso gli articoli della bacheca.
«Permesso!» diceva Rei, per farsi spazio fra la folla.
Non appena riuscimmo a raggiungere la bacheca ecco che ci saltò all’occhio tale annuncio.
“Avvistato un kishin nella zona di Manhattan, spacciatosi per il fratello minore di Jack Frost.”
Ecco cos’era: un kishin.
«Cavoli, è l’occasione che aspettavamo!» gridò Rei, eccitato. «Potremo finalmente iniziare la nostra raccolta di anime, e questo kishin la inaugurerà.»
«Ottimo inizio.» disse un ragazzo d’improvviso, mettendo una mano sulla spalla di Rei.
Il mio partner si girò verso di lui, e parve riconoscerlo, dato che sobbalzò e s’inchinò immediatamente.
«Eh!? Ehm…b-buongiorno, giovane Shinigami!» gli disse frettolosamente.
Io, invece, lo salutai con calma: sapevo che era un amico di Maka – me lo aveva presentato stesso lei, dopotutto.
«Oh, ciao Kid. Pensavo di non ritrovarti qui dopo così poco tempo. Pensavo che tu, essendo uno Shinigami, passavi più tempo a svolgere i tuoi compiti.» gli dissi io, sorpresa di vederlo girovagare per i corridoi della scuola.
«Oh, non far caso a me. Ho chiesto io stesso a mio padre di iscrivermi. E poi non sono ancora uno Shinigami al 100%.» mi rispose. Poi, d’improvviso fece una strana smorfia, guardandomi la fronte. «Aspetta…sta un po’ ferma.» disse Kid, iniziando a mettermi le dita nella frangia per poi smuoverla a destra e sinistra.
Cosa cavolo stava facendo? Me la stava tipo…sistemando!?
Finita l’operazione, lo Shinigami s’allontanò, guardando ancora per qualche secondo la mia fronte e squadrandola per bene.
«Mmmh… perfetto! Ora è simmetrico!» commentò, tutto contento del lavoro che aveva fatto.
In quel momento realizzai che le dicerie su di lui fossero vere: soffriva di disturbo compulsivo ossessivo. Per lui ogni cosa doveva essere simmetrica.
«Tornando a noi è un’ottima idea quella di iniziare già da ora. Vi aspetto all’entrata principale della scuola a fine lezione e vi accompagnerò da mio padre, così ne parlerete insieme a lui.» concluse il giovane Shinigami allontanandosi.
Io e Rei lo guardammo sparire fra la folla, e per poco il mio Meister non piangeva. «Dallo Shinigami in persona! Emy, dammi un pizzicotto!» gridò eccitato Rei.
«Hehe, dai non fare lo sciocchino e andiamo a lezione.» replicai io, ridendo per poi trascinare Rei a lezione. Intanto lui stava piangendo di gioia.

Le lezioni passarono e, come prestabilito, andammo all’entrata principale della DWMA per incontrare Kid, che ci avrebbe portati da suo padre: lo Shinigami.
«Ah, eccovi. Vi stavo aspettando. Venite, vi porto dallo Shinigami.» Kid, con tono elegante, c’invitò a seguirlo, fino al posto dove si trovava lo Shinigami.
Strada facendo, Kid ci spiegò che il posto dove si trovava lo Shinigami si chiamava “Camera della Morte” e che lo si poteva contattare tramite un numero scritto su una superficie riflettente: 42-42-564.
Ci chiese anche come stavano andando le lezioni e come ci trovavamo a scuola, ed io e Rei rispondevamo.
Dopo un po’ finalmente ci trovammo nella Camera della Morte.
C’era una lunga passerella, circondata da numerose ghigliottine, con le lame sospese.
Avevo paura che una di quelle lame potessero cadere d’improvviso e tagliarci a tutti e tre. Intanto mi guardavo intorno, squadrando ogni angolo della Camera della Morte: praticamente era come si ci trovassimo nel cielo, dove però c’erano delle finestre intorno.
Dopo qualche metro arrivammo al centro della stanza, dove si poteva vedere un “deserto” con molte croci sottili impiantate nella sabbia, mentre nella parte principale vi era un enorme specchio e un tipo strano, alto e con un grosso mantello nero ed una maschera bianca a forma di teschio.
«Padre, ci sono visite.» disse Kid, attirando l’attenzione del padre. Quello era lo Shinigami? Lo facevo più tenebroso e più imponente.
«Uuuh, ma questi sono due dei nuovi arrivati all’accademia!» rispose lo Shinigami. Aveva una voce molto giuliva, per niente tuonante – per come lo avevo immaginato. «Voi dovete essere Rei Sado il “falegname degli inferi” – come ti piace essere definito – e Emilia Harukaze, l’Ascia d’Oro del Falegname.» concluse poi, sfoderando due enormi mani bianche dalle dita a forma di parallelepipedo.
«Padre, sono qui per l’annuncio del fratello minore di Jack Frost a Manhattan.» spiegò il pistolero.
«Già, il fratello di Jack Frost, Thomas, il piromane cannibale. Pare che stia bruciando tutti gli abitanti di quella cittadella e che poi ne mangi le anime e le interiora. Quello lì è insaziabile.» disse Shinigami, con aria distratta e pensierosa. «Fatemi indovinare: volete che vi assegni questa missione? Bene. Mi piace il vostro spirito combattivo.»
«Esatto!» rispondemmo io e Rei ad unisono, inchinandoci di fronte allo Shinigami.
«Perfetto, ragazzi.» replicò il preside «Domani partirete per Manhattan e catturerete l’anima di Thomas Frost. Mi raccomando, fate un buon lavoro.».
«Certo, Sommo Shinigami!» concluse Rei, pieno di sé. Si vedeva che non vedeva l’ora di partire per Manhattan e sconfiggere Thomas Frost.

«Wow, quindi questa è Manhattan!» mi guardai attorno, ammirando il luogo in ogni suo piccolo particolare.
«Emily, non siamo qui in veste di turisti, ricordalo!» Rei si girò verso di me, dopo aver corso per superarmi di qualche passo. Il suo non era esattamente un tono di rimprovero, ma un richiamo misto ad eccitazione.
Io, invece, ero un po’ spaventata all’idea di affrontare un kishin. Avevo paura di non farcela e di fare una brutta fine: dopotutto avevamo appena iniziato a combattere, e le uniche battaglie che avevamo fatto
erano con Black Star e la sua arma Tsubaki e Endless Mercy e il fucile da caccia Bleeding Berry.
Guardai Rei, sorridendogli. «Macché, lo so. Non mi sono mica dimenticata di Thomas Frost.» gli risposi.
«Su, chiediamo un po’ in giro!» propose il falegname degli inferi, che fece una corsa in avanti – infatti non riuscii a stargli dietro.
D’improvviso ci fermammo davanti ad un uomo in giacca e cravatta.
«Mi scusi buon uomo, sa per caso dirmi dove potremmo trovare Thomas Frost?» chiese Rei.
L’uomo parve rifletterci.
«Beh, sì, ma non lo troverete qui. Dovete andare nell’area sud di Manhattan.» ci spiegò lui, indicandoci la direzione dove potevamo raggiungere il sud della cittadella.
«Sì, grazie mille, signore!» replicò Rei, per poi dirigersi verso il luogo preindicato mentre io gli stavo dietro, cercando di stare al suo passo, molto lesto e scattante.
Più andavamo al sud di Manhattan e più il paesaggio si faceva degradante, mentre i visi della gente erano sempre più cupi, mano mano che ci addentravamo nella zona.
«Cavolo, quel Thomas Frost deve essere veramente spietato.» dissi fra me e me, guardando la gente spaventata e le ceneri bruciate che giacevano per i vicoli delle strade.
«Chiediamo ad uno di qui.» propose nuovamente Rei, avvicinandosi ad una donna dall’aria terrorizzata.
«Mi scusi…» chiese Rei. «…sa per caso dirmi dove posso trovare Thomas Frost?»
La signora non rispose, ma lanciò un acuto grido di terrore.
«Non si preoccupi, signora! Siamo qui per aiutarla. Siamo della DWMA.» concluse il Meister.
La donna si tranquillizzò, sapendo di avere davanti due persone che avrebbero aiutato lei e tutta la gente di Manhattan.
«Tho… Thomas…è… è… andato…pe… per di… di lì….» ci indicò la donna, tremando.
Guardammo la direzione che ci fu indicata e c’avviammo.
Non fu per nulla facile trovare Thomas, e dovemmo girare per la zona per diverse ore, finché non calò la notte – dopotutto era la nostra prima missione, no?
«Uff… ma dove sarà questo Thomas Frost. Io non lo vedo da nessuna parte.» si lamentò Rei, lasciandosi cadere per terra, e anche abbastanza stanco di cercare altrove. «E se avesse cambiato località?» chiese poi il ragazzo.
«Naah, non dire così, Rei. Non può aver cambiato località così facilmente.» risposi io, iniziando a guardare il cielo.
Ci fu qualche secondo di silenzio. Poi un grido. Poi puzza di bruciato. A seguire versi di masticazione. Ed infine passi lenti.
Io e Rei ci voltammo verso quella figura che veniva verso di noi, con aria minacciosa e masticando qualcosa
Dalle tasche usciva qualche fiammifero, cadendo per terra.
«Cosa? Ma quello è…» dissi io, guardando l’uomo terrorizzata.
«Non c’è dubbio, Emilia. Quello è Thomas, il fratello di Jack Frost.»
EmiHaru

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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:54 pm

14 - THOMAS

Non fu per nulla facile trovare Thomas, e dovemmo girare per la zona per diverse ore, finché non calò la notte – dopotutto era la nostra prima missione, no?
«Uff… ma dove sarà questo Thomas Frost. Io non lo vedo da nessuna parte.» si lamentò Rei, lasciandosi cadere per terra, e anche abbastanza stanco di cercare altrove. «E se avesse cambiato località?» chiese poi il ragazzo.
«Naah, non dire così, Rei. Non può aver cambiato località così facilmente.» risposi io, iniziando a guardare il cielo.
Ci fu qualche secondo di silenzio. Poi un grido. Poi puzza di bruciato. A seguire versi di masticazione. Ed infine passi lenti.
Io e Rei ci voltammo verso quella figura che veniva verso di noi, con aria minacciosa e masticando qualcosa
Dalle tasche usciva qualche fiammifero, cadendo per terra.
«Cosa? Ma quello è…» dissi io, guardando l’uomo terrorizzata.
«Non c’è dubbio, Emilia. Quello è Thomas, il fratello di Jack Frost.»

Sì, quello era Thomas. Era enorme e molto robusto, con occhi circolari e vuoti e la bocca mastodontica, con grandi denti grigi e scheggiati. Le sue braccia erano grossissime, così come il suo busto, il suo naso e le sue spalle. Le sue gambe, invece, erano piccole e magre, ed anche i suoi piedi.
Indossava vestiti semplici e rovinati, e aveva qualche segno di bruciatura sul corpo e sugli abiti, e sua testa una piccola manciata di capelli.
Si stava dirigendo verso di noi, mentre lo guardavamo impauriti.
Stava emettendo qualche strano verso, molto inquietante, e ci fissava con quei suoi enormi occhi luminosi.
«Su, Emilia. Non abbiamo tempo da perdere.» sussurrò Rei, che pareva essere deciso a combattere contro quel bestione, anche se vedevo in lui un po’ di paura.
Annuii, e mi trasformai in ascia.
Ed ecco che sentii le mani di Rei stringere il mio bastone.
Thomas continuò a fissarci per qualche altro secondo, poi Rei iniziò ad attaccare.
Ed ecco che la lama cominciò a penetrare la carne di Thomas, che pareva non sentire dolore – in effetti era abbastanza dura la sua pelle – , ma ricambiò il nostro attacco cercando di sferrarci un pugno. Per poco Rei non veniva preso in pieno, o sarebbe morto sul colpo schiacciato da quell’enorme mano dalle nocche di ferro, che andarono a finire su un palazzo, sfondandone i muri.
«Uff, per poco.» sospirò Rei, per poi attaccare nuovamente.
Nulla. Quel kishin era corazzato. Non riuscivamo a ferirlo in nessun modo.
E rispondeva dando pugni alla cieca, tentando di colpirci.
Intanto la scena era invasa dalle grida degli abitanti di Manhattan, che scappavano impauriti dall’essere enorme.
«Dobbiamo fare qualcosa!» propose Rei.
«Ma cosa? Non sappiamo ancora eseguire una risonanza!» risposi io, gridando spaventata.
«Ce la faremo, Emilia. Dobbiamo solo trovare il suo punto debole.» replicò il mio Meister, correndo verso Thomas, e iniziando a colpirlo un po’ ovunque.
Era impossibile da ferire. Come avremmo potuto trovare il suo punto debole?
«Rei, è inutile colpirlo alla cieca.» gridai io «E’ corazzato, non vedi?» chiesi io nuovamente.
Rei rise leggermente, continuando a muoversi e cercando di far male a Thomas, che continuava a rimanere inerme ai colpi d’ascia.
Intanto il kishin si muoveva molto lentamente a causa del suo fisico enorme, senza però cercare di schivarci e provando a prenderci con quei suoi grossi manoni con le dita cicciotte e sporche di cenere, ma noi eravamo troppo veloci per lui, come lui era troppo duro per la mia lama.
«Puntiamo al collo!» esclamò Rei. «Magari riusciamo a tagliargli via la testa.» concluse.
Non pareva star scherzando sul fatto di tagliargli la testa, anzi. Stranamente era più serio del solito.
«Il problema è arrivare al collo.» sospirai io, con le mie solite risposte pessimiste. «Non mi pare tu sia tanto agile.» conclusi.
«Sta tranquilla.» Rei sorrise, come se tenesse tutto sotto controllo.
Io, invece, feci una faccia preoccupata. Cosa avrebbe combinato Rei? Da quando l’ho conosciuto pareva una persona impacciata e goffa.
E invece no.
D’improvviso Rei mise i piedi su un muro, spingendosi verso Thomas, spiccando anche un grande salto.
Incredibile. Anche io ero agile in quel modo – infatti a volte, quando ero ancora in Italia sorpassavo le auto saltandole quando andavo di fretta – ma non sarei mai riuscita a fare quella mossa.
Rimasi con gli occhi spalancati e la bocca aperta.
«Ma come… ?» mi chiesi fra me e me, assistendo al grande salto di Rei, che intanto era arrivato all’altezza del collo di Thomas. Riuscì anche ad atterrare sulle sue spalle, mentre Thomas sembrava confondersi.
Il kishin iniziò a girarsi ovunque, cercandoci dappertutto senza vederci. Rei, invece, iniziò ad infilare la lama dentro al collo del demone piromane, che pareva sentire dolore, stranamente.
«Emily, forse abbiamo trovato il suo punto debole!» esclamò felice Rei, continuando a fare tagli sul collo dell’omaccione.
«Siamo grandi, Rei!» gridai io, felice. Cavoli, era la nostra prima missione e stava andando tutto bene, e forse, tra non molto, avremmo preso la nostra prima anima di kishin. Eravamo sulla buona strada.
Ma ecco che, sentendo il dolore dietro il collo e qualcosa camminare tra le sue spalle, accese un fiammifero e lo ****ò dietro di sé, senza beccare la schiena.
«Cavoli. Per poco non mi beccava, o sarei diventato la sua cena.» disse Rei, sobbalzando alla vista del fiammifero.
«Rei, non distrarti. Continuiamo a colpire!» gridai io.
«Certo!» rispose Rei, tornando a colpire Thomas, che intanto lanciava altri fiammiferi dietro di sé cercando di colpirci – senza successo – e lamentandosi per il dolore.
Rumori inumani uscivano dalla bocca del kishin, mentre i suoi occhi s’illuminavano sempre di più.
Il paesaggio, invece, andava a fuoco per i fiammiferi che il demone lanciava dietro di sé.
«Ma per quale motivo lancia fiammiferi dietro di sé?» chiesi.
«Non so. Forse per il dolore e vuole eliminarne la fonte per poi mangiare le sue ceneri no?» ipotizzò Rei.
In effetti quello che disse non era sbagliato, anzi, aveva ragione. Thomas voleva eliminare ciò che gli causava dolore dietro la schiena.
I suoi gemiti di dolore diventavano sempre più forti, mente il quartiere ardeva.
Il fumo saliva, e respirare diventava sempre più difficile. Rei, infatti, iniziava a tossire. «Meglio fare presto, o qui si muore si asfissia.» disse Rei, soffocando le parole e facendo una leggera risatina.
«Rei, senti!» lo chiamai io.
«Uh? Dimmi, Emilia.»
«Facciamo in modo di attaccarlo con la sua stessa medicina.»
Rei alzò un sopracciglio. «Cosa vuoi dire?» chiese.
«Dobbiamo fare in modo che accenda il fuoco su di lui.» spiegai io. «Sarà come un suicidio involontario.» conclusi.
«Un suicidio… ? Beh, se sarà una scorciatoia per farla finita con questo kishin a me sta bene.» rispose Rei, deciso. «Allora facciamolo!» esclamò il ragazzo castano infine.
Rei si diresse verso la spalla sinistra del kishin.
«Hei, Thomas! Siamo qui!» gridò il ragazzo.
Con un movimento molto lento della testa, Thomas voltò lo sguardo verso di noi e ci guardò, per poi prendere un fiammifero dalla tasca e accenderlo. Grosse scintille apparvero dalla punta dell’oggetto, e una fiamma s’accese. Thomas portò il fiammifero verso di noi e, all’ultimo secondo, Rei si scansò, mentre la spalla del kishin iniziò a bruciare.
Un grido di dolore invase la scena: era assordante.
Intanto passammo alla spalla destra, e facemmo lo stesso. Anche la spalla destra iniziò ad andare a fuoco. Un altro grido.
Il corpo di Thomas iniziava a divenire cenere, e noi scendemmo dalle spalle del kishin.
«E adesso…» disse Rei «…il corpo di grazia!».
Il ragazzo corse verso il demone e, con un colpo di ascia, ecco che Thomas si dissolse nell’aria, lasciando
una sferetta rossa e luminosa fluttuante.
«Emilia… quella è…» disse Rei lentamente, avvicinandosi incredulo alla sferetta.
«…Quella è un’anima.» conclusi io, mentre tornai alla forma umana.
M’avvicinai lentamente all’anima di Thomas, ed allungai il braccio, tremante ed emozionata.
«Avanti, prendila.» mi disse Rei, spingendomi leggermente verso l’anima.
Io annuii delicatamente, incredula.
Tutto era silenzioso. L’unico rumore era lo scoppiettare del fuoco.
La mia mano, d’improvviso, raggiunse quell’anima: era fredda e delicata, nonostante appartenesse ad un kishin molto forte e dalla pelle corazzata. La presi fra le mie mani.
Era bellissima.
EmiHaru

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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:56 pm

15 - BELLEZZA

Non appena tornammo a Death City, Maka e gli altri ci accolsero calorosamente.
«Rei! Emilia!», Maka corse verso di noi e ci abbracciò. Sembrava molto contenta. Subito dopo si avvicinarono tutti quanti a ruota. Chi ci metteva le mani sulle spalle, che ci abbracciava e chi ci strofinava i capelli.
«Congratulazioni.» disse Kid, felice di sapere che avevamo preso la nostra prima anima.
«Pff, un gioco da ragazzi.» disse Rei, dandosi delle arie.
«Rei!» sussurrai io, dando una gomitata al mio partner, che subito si mise una mano sul braccio strofinando la parte dolorante.
«Hai visto, Black Star? Pare che le matricole siano più brave di te.» disse Soul a Black Star, prendendolo in giro. Poi il ninja iniziò a dargli dei colpi dietro la schiena, innervosito dalle parole dell’amico. «Non è vero!» gridava Black Star, mentre Soul rideva divertito.
Maka, invece, guardava i due con fare irritato, per poi sbuffare e voltare lo sguardo verso di me e Rei.
«Perché non venite questa sera a casa mia? Verranno anche tutti gli altri.» disse Maka.
«Certo! Ci puoi contare!» rispose subito Rei, senza neanche pensarci due volte.
Me lo avevano detto: Maka amava dare cene tra amici a casa sua per qualsiasi motivo. Eppure non sembrava una che organizzasse tante feste.
«Ci farebbe piacere.» aggiunsi io, sorridendo.
«Bene!» disse Maka. «Allora a stasera!»
«Sì!» rispondemmo io e Rei in coro, per poi allontanarci dagli altri.
Tutti scuotemmo le mani, salutandoci amichevolmente e promettendoci che ci saremo rivisti quella stessa sera.
«Caspita, Maka è una tipa forte!» disse Rei, saltellando di gioia. «Siamo proprio fortunati a frequentarla!» aggiunse poi, sempre con il suo fare energico. Io risi.
«Solo una cosa mi da fastidio…» risposi io, iniziando a fare una faccia imbronciata.
Rei mi guardò, alzando un sopracciglio. «Cosa? Maka è così simpatica.»
«Non è Maka il problma…» risposi con tono irritato. «…ma il suo partner.»
«Soul, dici? A me sembra un tipo ok.» mi rispose lui, pensandoci un po’ su. «E’ simpatico anche lui, ed è anche molto divertente.» continuò lui. Dallo sguardo che faceva vedeva i due come eroi – ed in effetti lo
erano.
«Non vedi la sua aria da fighetto?» gli chiesi io. «Non fa altro che prendere in giro la gente e pensa di essere l’ombelico del mondo! E poi è così rozzo. Quando sono arrivata qui e Soul e Maka mi hanno ospitata per la notte l’ho trovato il mattino dopo con la bocca gocciolante e le mani nei pantaloni. Ma si può?» spiegai, mentre facevo una faccia schifata – e cercavo di trattenere un coniato di vomito.
«Però…è carino, dai!» disse lui, cercando di stuzzicarmi e dandomi una gomitata sul braccio.
«Ecco…», ci pensai su, poi arrossii leggermente. «Beh, in effetti hai ragione, è…è abbastanza carino… nonostante gli occhi rossi e i denti a punta.» risposi, leggermente imbarazzata e mettendo una mano davanti alle labbra. «Ma non vuol dire che sia simpatico, comunque!» insistetti.
«Sarà, ma dovrai comunque sorbirtelo un anno intero, quindi meglio che te lo fai diventare simpatico.» rispose lui, mettendosi le mani dietro la testa.
«Sarà…» dissi io, concludendo.
Ci fu un minuto di silenzio. Poi sobbalzai, ricordandomi di una cosa.
«Giusto!» dissi io, facendo spaventare Rei. Intanto io misi un pugno in una mano. «Stavo dimenticandomene!» aggiunsi.
«Cosa?» chiese Rei. «E la prossima volta non spaventarmi.»
Mi voltai verso Rei e gli presi un braccio, tirandoglielo. Lo trascinai con me, lasciando confuso il mio partner.
«Emilia, cosa succede?» mi gridò lui.
«Devo vedere lo Shinigami!» urlai io, in risposta. «Devo parlargli di una cosa importante.»
Me lo trascinai per tutto il tragitto, senza lasciarlo neanche un istante.

«Shinigami, ci sono visite per lei.» disse il professore Stein, che si era offerto di accompagnarci sino alla Camera della Morte. L’uomo mascherato si voltò verso di noi.
«Mmmh…bene. Sado Rei e Harukaze Emilia.» disse con voce tenebrosa, ma allo stesso tempo squillante. «Avete bisogno di aiuto?» chiese poi, trasformando il suo tono lugubre in uno molto infantile, facendo sfoderare i suoi grossi manoni bianchi con le dita rettangolari.
Io feci un passo in avanti. «Sì, Shinigami.» dissi io in tono serio, mentre Rei iniziava a guardarmi preoccupato.
«Qualcosa non va, Emilia?» mi chiese lo Shinigami.
«Le volevo parlare di una cosa che mi tormenta da tipo…sempre!» spiegai io.
Non sapevo se Shinigami sorrise o meno, per colpa di quella maschera che portava sempre. «Raccontami pure.» fece Shinigami.
Io tirai un sospiro. «Non è facile spiegarlo…» dissi io, sfregandomi le mani nervosamente. «Il fatto è che è da quando sono piccola che ho delle strane illusioni, e sono di due generi.» spiegai. «Vedo a volte sfere azzurre sul petto delle persone, e non so cosa siano. E sembra che quelle sferette mi facciano tipo “leggere” nel pensiero delle persone. Sento quel che sono. Ma non so se tutto quello che sento sia vero o tutto frutto della mia mente.» dissi. Ero quasi in lacrime. Poteva anche Shinigami pensare che fossi pazza.
«Lo so! Non sono normale.» sospirai poi.
Shinigami rimase in silenzio per un po’. «Mmmh…tu sei una Buki, giusto Emilia?» mi chiese Shinigami, con aria sospetta.
«Se sono una Buki? Certo.» risposi io, sicura di quello che stavo dicendo.
«Beh, è strano, sai? Di solito le Buki non possono vedere le anime.» disse lui.
Vedere le anime? Rimasi a bocca aperta a quelle parole.
Rei avanzò. Sembrava più sorpreso di me. «Cosa? Emilia può vedere le anime? Ma lei sta parlando sul serio?» chiese Rei.
«Non è possibile, Shinigami. Io…io non posso…» aggiunsi io.
«Oh, invece sì, Emilia. Certo che puoi.» rispose Shinigami. «Ed è un grande potere. Puoi avvertire anime di kishin e strega a distanza di metri. Non lasciarlo marcire, e sfruttalo bene! Potrebbe essere d’aiuto per te e per il tuo partner.» spiegò poi la divinità con la maschera bianca.
«Soprattutto per me, dato che io non riesco a vedere le anime.» intervenne Rei, ridacchiando imbarazzato.
«Ma non era la sola cosa della quale volevo parlarvi.» aggiunsi io.
«Dimmi pure, Emilia.» rispose pazientemente lo Shinigami.
«Ecco… rimanendo nel tema delle illusioni… oltre alle anime io penso di avere strani ricordi di tutti. Una volta mi capitò con Black Star. D’improvviso m’è venuta in mente una donna, che credo di ricordare.» spiegai nuovamente io.
Shinigami parve pensarci. Alzò anche lo sguardo al cielo. Poi iniziò a parlare.
«Mi dispiace, Emilia. Su questo non posso risponderti. Non so proprio cosa sia, ma vedrai che cercheremo risposte. Non devi affatto preoccuparti.» disse Shinigami.
«Beh, è tutto, Shinigami.» dissi, per poi inchinarmi a lui. «E mi scusi per il disturbo.» conclusi.
«Naaah, nessun disturbo, Emilia. Io sono qui proprio per questo.» rispose lo Shinigami, sfoderando la sua grossa mano sinistra e facendomi la “V” con le dita.
Come preside della DWMA non metteva affatto ansia, anzi. La sua maschera e il suo tono di voce lo faceva sembrare di più un amico che il severissimo preside della scuola.
Shinigami amava i suoi studenti. Li amava con tutto il cuore. Era una persona dolcissima.
«Bene, se avete finito potete andare! Ciaooo.» disse infine, salutandoci calorosamente e guardandoci allontanare insieme al professor Stein.
«Arrivederla, Shinigami!» facemmo noi, agitando le braccia in segno di saluto.

Quella ragazza ha grandi potenzialità.

Si fece sera, e s’avvicinava l’ora della cena a casa di Maka, e Rei pareva non star nella pelle.
Intanto c’eravamo già avviati verso casa sua, dato che mancava non poco all’inizio della piccola festicciola.
Rei praticamente correva emozionato: non vedeva l’ora di vedere Soul e farci quattro chiacchiere.
Ed io faticosamente stavo al suo passo veloce, fino ad arrivare a casa di Soul e Maka, che subito ci accolsero con calore – e Rei subito iniziò a stare alle calcagna di Soul, e per poco non lo assaliva.
Io abbracciai Maka. M’ero legata molto a quella ragazzetta.
Intanto guardavo Soul e Rei, guardando più attentamente quest’ultimo e pensando a quello che mi disse Rei qualche ora prima.
«Però… è carino, dai.». Quella frase mi rimbombò nella testa.
«Sì… è molto carino.» pensai io.
Dopo qualche secondo abbandonai i miei pensieri e mi godetti la serata fra amici.
Black Star e Kid mi facevano morire dalle risate: uno per le sue gag, l’altro per la sua mania dell’ordine.
Eppure quella sera la mia attenzione era su Soul.


Maledetto Rei, perché mi hai fatto notare la sua bellezza?
EmiHaru

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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:58 pm

16 - MEIRY

Per i giorni successivi, io e Rei combattemmo contro i kishin in ogni parte del mondo, ed il nostro legame divenne sempre più forte e diventammo sempre più agili, anche grazie all’aiuto di Soul e Maka.
Passarono ben tre mesi da quando mi trasferii a Death City – quindi da quando iniziai a frequentare la DWMA – e quella città divenne una seconda casa per me, una seconda famiglia.
Rei era non solo il mio Meister, ma era il fratello che non avevo mai avuto. Era un bravo ragazzo, instancabile, sempre in cerca di avventure e con il pensiero fisso di diventare uno dei più potenti Meister di Death Scythe. Non avevo mai incontrato prima d’ allora un ragazzo così determinato e deciso nel voler raggiungere i propri obiettivi.
C’erano le due sorelle Thompson, una più bizzarra dell’altra: Patty era una tipa stravagante, sempre allegra in qualsiasi situazione, al contrario di sua sorella Liz. Lei era una ragazza fifona, ma nonostante le sue paure verso qualsiasi cosa inumana, Liz rimaneva sempre al fianco del suo partner: Kid.
Kid era il figlio dello Shinigami, il classico cavaliere senza macchia e senza paura, ma con un unico difetto: aveva un’ossessione compulsiva ossessiva verso la simmetria, e ciò lo rendeva unico del suo genere – non che suo padre fosse tanto normale.
Tsubaki era una ragazza molto pacata, sempre con il sorriso sulle labbra, sempre con una parola di conforto per il prossimo, e sempre pronta a tirare fuori il suo partner dai guai. Era una ragazza timida, ma molto dolce, e se la si prendeva nel verso giusto, poteva rivelarsi un’ottima amica. Io mi ci rispecchiavo in lei.
Black Star, invece, era un gran mattacchione, nonché il più spaccone del gruppo. Tutti si chiedevano come potesse essere Black Star il partner perfetto per Tsubaki, nonché il suo perfetto contrario – alcuni dicevano che solo una persona con il carattere di quest’ultima avrebbe potuto reggere un ragazzo vivace come Black Star, ed in effetti Tsubaki non perdeva mai la calma con il suo Meister.
Poi c’era Maka, una delle ragazze più meticolose che io potessi mai incontrare. Poteva essere simpatica e disponibile, ma era an che una ragazza molto severa, con sé stessa ed il suo partner. Era un po’ come una madre, per me. Non perché fosse più vecchia di me, ma perché, in quelle settimane, mi aveva aiutata ad integrarmi alla DWMA e, soprattutto, a Death City.
Ed infine c’era Soul, il primo che mi aiutò ad addentrarmi in questo strano e folle mondo, completamente diverso dall’Italia. Ci sono così tante cose da dire su di lui che non saprei da dove cominciare: è un ragazzo ribelle, ma se lo si riusciva a conoscere più a fondo, poteva rivelarsi un ragazzo elegante e posato. Insomma, un tipo dalla personalità complessa e…

«Harukaze!» si sentì d’improvviso rimbombare nell’aula: era il professor Stein, che mi guardava con aria di rimprovero attraverso quei suoi occhiali luminosi, e costantemente puliti.
Al suono della voce dell’uomo con la vite conficcata nella testa, sobbalzai, e poi scossi leggermente la testa: la mia mente aveva ricominciato, come altre volte già successe, a vagare tra i pensieri.
«Harukaze, la pregherei di stare più attenta la prossima volta» continuò il professore, portando una mano sul chiodo e facendolo girare un paio di volte.
«Mi scusi» risposi invece io, imbarazzata e abbassando lo sguardo, facendo anche affondare il collo nelle spalle mentre il mio viso diventò leggermente rosso.
Seguì qualche istante di silenzio.
Poi quel silenzio fu rotto dal «Come stavo dicendo…» del professore, che mi tolse gli occhi di dosso.
Sospirai, e poi mi piegai verso il banco, mantenendo la testa con la mano e fissando il professore con aria annoiata. Di lì a poco, la mia mente sarebbe tornata a vagare fra pensieri e fantasie, ma dovevo cercare di tenere l’attenzione su quello che stava dicendo il professore, o mi avrebbe rimproverata nuovamente – e non si sarebbe risparmiato il classico tiro del gessetto, ormai un usanza dei professori della DWMA.
Quella giornata pareva non voler passare più, e tutto quello che chiedevo era solamente un po’ di riposo. Tra lezioni e lotte contro i kishin sparsi per il mondo, desideravo solamente un po’ di pausa: ero stremata. Rei, invece, sembrava ogni giorno più carico, e non riuscivo proprio a capire come facesse.
Dopo quella che per me sembrò un’eternità, finalmente finirono le lezioni quotidiane. Nell’istituto dominò il brusio dei ragazzi che velocemente riempirono i corridoi, quasi rendendo impossibile il fluire delle persone – e per poco io e Rei non rimanemmo incastrati in mezzo a quell’ammasso di gente.
«E su, Emy! Sbrigati!» gridò Rei, che aveva già superato la folla. «Di questo passo arriveremo questa sera a casa!» aggiunse Rei.
«Arrivo!» urlai io in risposta, mentre cercavo di liberarmi dalla folla, aprendo con fatica un piccolo sentiero che mi facesse uscire da quell’agglomerato di gente che spingeva, scalciava e dava gomitate.
Passarono tre minuti buoni prima di poter uscire finalmente dal corridoio e portava all’uscita dell’istituto. Finalmente potevo respirare aria buona e non sentirmi oppressa dai ragazzi che riempivano i corridoi dell’istituto.
Mi buttai esausta fra le braccia di Rei, che mi prese al volo.
«Sei già stanca?» mi chiese Rei.
Mi limitai ad annuire emettendo un lamento: non avevo le forze nemmeno per muovere le labbra e sussurrare un semplice “sì” o “no”.
«Avanti, non fare così, Emy» rispose il mio Meister, cercando di rimettermi in piedi. «Quando arriveremo a casa potrai riposarti. Anzi, mi riposerò anche io: dobbiamo essere in forma se domani dobbiamo battere quel kishin in Italia» spiegò infine Rei, che intanto era riuscito a rimettermi in piedi.
Giusto! Una settimana prima Shinigami ci convocò nella Camera della Morte e ci affidò il compito di uccidere un kishin in Italia. La cosa mi rallegrava, perché potevo finalmente – dopo tre mesi – tornarmene in patria, e forse potevo far conoscere Rei a qualcuno.
Mi stiracchiai per bene. «Allora arriviamoci presto, che non vedo l’ora di stendermi sul divano» gli risposi io, che avevo già iniziato a dirigermi verso le scale principali dell’istituto. Rei mi seguì subito, ed insieme scendemmo quella lunga rampa di scale.
E mentre scendevo i gradini potevo sentire benissimo loro: gli occhi castano opaco di quel ragazzo dai capelli neri che mi fissavano con ossessione. Mi venne un brivido e, d’istinto, mi voltai. Era proprio lì, al bordo del primo gradino, con quei suoi occhi opachi, che non lasciavano passare alcuna luce. Il ciuffo nero che copriva l’occhi destro e le mani nelle tasche. Mi pedinava dal primo giorno che ci siamo visti: eppure quando gli chiesi allora di fare coppia si rifiutò. Allora perché continuava a starmi alle costole? Magari era solo una mia impressione.
Decisi di non farci caso e subito me ne andai per la mia strada, insieme a Rei, che aveva già iniziato ad urlare il mio nome per ottenere la mia attenzione.
Passammo il resto della giornata facendo cose ordinarie, per poi coricarci abbastanza presto per poter affrontare il kishin in Italia con il massimo della lucidità.


Passò la notte, e la mattina ci svegliammo di buon’ora per poterci recare all’aeroporto in tempo. Poi partimmo sorvolando i cieli di Death City per arrivare infine in Italia.
Il viaggio mi riportò alla mente quando tre mesi addietro feci da sola il viaggio in aereo dall’Italia fino a Death City. Allora avevo paura: era la prima volta nella mia vita che superavo le frontiere del mio paese, e il pensiero di abitare molti chilometri lontana dalla mia famiglia mi spaventava un po’. Però nelle settimane che seguirono, Death City prese in breve tempo un posto importante nella mia vita.
Il viaggio durò ore, finché finalmente arrivammo in Italia.


«Cavolo! Bella l’Italia!» disse Rei, guardandosi intorno. «Quindi è qui che vivevi?»
«Sì, Rei» risposi io, sorridendogli. «Ti piacerebbe conoscere la mia famiglia?» aggiunsi io. Le parole uscirono quasi d’istinto, senza che io ci pensassi due volte.
Nemmeno Rei parve pensare troppo alla sua risposta. Il suo fu un «Sì» immediato, seguito però dalla responsabile proposta «Ma dopo aver trovato il kishin»: insomma, era l’occasione perfetta per conoscere meglio me, la sua partner di lotta.
«Su, andiamo! Questa sarà la nostra ventesima anima, e non dobbiamo farcela scappare!» disse infine Rei, sempre con quel fare determinato e quell’espressione che trasmetteva positività ed energia. Rei iniziò a correre d’improvviso, ed io subito lo seguii, cercando di raggiungerlo – Rei era un ragazzo molto veloce, e solo Black Star riusciva a stargli dietro senza affaticarsi.
Ci addentrammo per i vicoli del paese, alla ricerca del kishin che ci era stato assegnato: quel kishin era un cacciatore di teste, ed uccideva le sue vittime decapitandole. Aveva già fatto fuori qualche decina di persone, e non solo qui in Italia, ma anche altrove nelle settimane precedenti. E la cosa più inquietante era che ad ucciderlo ci provò già qualche altro studente della DWMA, ma senza successo: chi tornava ferito – gravemente o meno – o chi, addirittura, non aveva più fatto ritorno in città.
Pensieri negativi si accavallavano nella mia mente, mentre io e Rei eravamo alla ricerca del cacciatore di teste, e la paura si stava impossessando di me: ero del tutto convinta che nemmeno noi ne saremmo usciti vivi, ma tenar non nuoce.
Passò appena qualche minuto, quando da lontano si sentì un grido che ci fece sobbalzare entrambi. Poi un silenzio inquietante.
Io e Rei ci voltammo d’istinto. “Che sia il kishin?” pensai io, mentre le mie gambe iniziarono a tremare di paura.
«Penso proprio l’abbiamo trovato» ipotizzò Rei, con un insolito tono e sguardo seri. Sembrava quasi che i suoi occhi castani e lucenti si fossero scuriti. «Su, trasformati in ascia!» mi ordinò poi Rei. Non esitai un momento, ed in pochi istanti diventai una splendida ascia dorata.
Corremmo verso il vicolo dal quale provenne l’urlo, e quello che si presentò davanti ai nostri occhi non fu di certo un bello spettacolo: le mura del piccolo vicolo erano completamente imbrattate di sangue, da cima a fondo, così come l’asfalto, sul quale in ogni angolo giacevano pozze di sangue.
Buttata con noncuranza in un angolo del vicoletto, una testa – che era appena stata staccata dal collo, dal quale uscivano ingenti litri di sangue – dondolava, coperta da lunghi capelli biondi e macchiata di rosso cremisi.
Lo spettacolo era così raccapricciante che lasciò di pietra anche Rei: le iridi castane si strinsero nei suoi occhi e sul viso era stampata un’espressione di terrore – nonché di disgusto – davanti a quello scenario da film horror.
L’unica cosa effettivamente viva in quel vicolo, oltre me e Rei, era il cacciatore di teste. A prima vista quel kishin aveva sembianze apparentemente umane: capelli neri e lisci lunghi fino alle spalle, pelle pallidissima – quasi bianca – ma con una lama di ghigliottina al posto del braccio destro, grondante di sangue.
Il cacciatore di teste si voltò verso di noi, mostrando il suo viso, completamente deformato: occhi decentrati e bocca spostata sulla sinistra del viso, dalle labbra contornate di viola.
«Rei, che fai? Agisci!» urlai io per incoraggiarlo.
Rei deglutì, poi tirò un sospiro e prese tutto il coraggio che aveva. Strinse l’asta dell’ascia e mutò quello sguardo di terrore con uno di sfida.
«E va bene, cacciatore di teste» disse lui. «È ora di farti fuori» continuò poi Rei.
Sorrisi alle parole di Rei. «Questo è il mio Meister!» esclamai.
Rei cominciò a correre verso il kishin, dimenticando completamente la paura, e mi sentii trasportare. Le sue mani stringevano così forte l’asta dell’arma, che sudarono subito dopo, e non poco.
Ci esibimmo in giravolte pesanti. Da capogiro. Sentivo il sangue agitarsi nelle vene ed un lieve mal di testa , ma ciò non m’importava più di tanto. A me importava solo essere parte della performance di Rei e di essergli utile nel far fuori quel kishin.
Quel duello divenne in breve tempo una sorta di danza fra Rei e il cacciatore di teste. Una danza molto violenta.
Entrambi tenevano duro, seppur i ripetuti tagli sui loro corpi e le grandi perdite di sangue. Entrambi desideravano la morte del proprio nemico. Entrambi volevano ognuno l’anima dell’altro.
Noi non potevamo permettergli di sconfiggerci.
Il kishin iniziava ad indebolirsi, e sembrava si sarebbe arreso presto, ma noi non abbassammo la guardia e continuammo a combattere, mettendoci sempre più potenza.
Poi d’improvviso si senti uno scoppiettio, e il kishin, colpito da una pallottola, cadde a terra morto.
Rei si voltò di scatto. «Ma cosa…». Non ebbe il tempo di finire la frase che si sentì un altro scoppio, e la seconda pallottola colpì Rei alla testa. Il mio Meister cadde, e dalla testa iniziò ad uscire tanto sangue.
Tornai alla mia forma umana e – terrorizzata e preoccupata – mi precipitai versi Rei.
«Rei!» gridai io.
Nessuna risposta.
Il suo viso non dava segni di vita.
«Rei!» gridai una seconda volta.
Nulla. Rei non rispondeva né batteva ciglio. E con mia sorpresa vidi che l’artefice dell’omicidio era lui, quel ragazzo dagli occhi giallo opaco e dai lunghi capelli neri, legati dietro il collo, come sempre.
Il bruno soffiò sulla canna della rivoltella, dalla quale usciva una piccola scia di fumo grigiastro, poi mi fissò con quel suo sguardo freddo.
«Harukaze Emilia, giusto? Ci incontrammo il giorno dello smistamento delle matricole» spiegò il bruno con la rivoltella.
Come bloccata da qualcosa, io non riuscii a rispondergli.
Il ragazzo si avvicinò lentamente a me. Sbiancai. “Mi ucciderà, lo sento” pensai. Eppure non erano quelle le sue intenzioni: quando si trovò ad una spanna da me, mi tese una mano.
«Io sono Tsunoki. Meiry Tsunoki» disse il ragazzo presentandosi. «Mi dispiace per come ti ho trattata allo smistamento. Solo ora mi rendo conto che noi siamo fatti l’uno per l’altra».
Ci guardammo entrambi intensamente negli occhi.
«Cosa vuoi dire?» dissi io con voce sottile.
Meiry si abbassò e mi prese la mano. «Stare con quel folle sarebbe stata una perdita di tempo. Perché non diventi la mia arma? Ti farò diventare la Death Scythe più potente del mondo».
EmiHaru

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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 8:01 pm

17 - FUNERALI

Non potevo pensarci: Rei era morto. Era stato ucciso da quel ragazzo bruno che, per tutto quel tempo, mi aveva pedinata.
Perché lo aveva fatto? Per quale oscuro motivo?
Per quanto io ne sapessi, Rei e il ragazzo bruno non ebbero mai l’occasione di conoscersi.
«Io sono Tsunoki. Meiry Tsunoki», il bruno mi guardò con quei suoi occhi dorati – o meglio dire quel suo occhio, essendo l’altro coperto da un folto ciuffo.
«Ti farò diventare la Death Scythe più potente del mondo.» Meiry mi fece questa solenne promessa, screditando il povero Rei, dandogli del folle. La cosa mi diede non poco fastidio: ero affezionata a Rei. Avevo imparato a conoscerlo meglio. E poi...
E poi eccolo che se ne va all’altro mondo.
Meiry mi prese la mano quando fece la sua promessa. Ed io tremavo. Tremavo di rabbia e di paura. Non sapevo che dire, le parole evaporavano non appena muovevo le labbra, cercando invano termini adatti.
Fu Meiry ad accompagnarmi a casa, e l’intero viaggio fu lungo e silenzioso, accompagnato anche dalle mie lacrime ed una sensazione nello stomaco inspiegabile. Forse era un misto di rabbia e malinconia.
In un certo senso, mi sentivo anche sola e leggermente traumatizzata nell’aver assistito all’omicidio del mio partner. Non mancò molto prima che sopraggiunsero i sensi di colpa per non aver protetto il mio Meister.
Era il codice morale di una Weapon, dopotutto, proteggere il proprio artigiano.

Tornati dall’Italia, la notizia della morte di Rei ci mise pochissime ore ad espandersi in tutto l’istituto, fino ad arrivare anche ai docenti. Ed infine a Shinigami.
Gli alunni della scuola, venuti a sapere dell’omicidio di Rei, mi fecero le loro condoglianze.
«Mi dispiace» dicevano loro.
«Non dispiacerti: non è stata colpa tua» rispondevo io, per poi scoppiare a piangere.
I loro abbracci e le loro compianti non mi facevano affatto sentir meglio. Anzi, più ci pensavo e più il dolore era forte.
Quando avrebbero smesso di cercare di consolarmi?

Per un po’ di giorni, al posto di Rei, vi misero un piccolo fiore bianco – nonché usanza giapponese per commemorare uno studente defunto –, probabilmente messo da qualche studente nipponico.
La sola visione di quel piccolo fiore m’inondava di tristezza e malinconia, nonché mi provocava un forte nodo alla gola ed occhi gonfi di lacrime, difficili da trattenere. E la cosa peggiore e che il mio posto era  accanto a quel fiore.
Mi sedetti, cercando di evitare la pianta accanto a me – impresa quasi impossibile – e rimasi per tutta la durata delle lezioni a testa bassa, con le mani sul viso e con l’aria distratta.
L’ora finì, e il silenzio nell’aula fu rotto dal brusio creato dagli alunni che si divisero in piccoli gruppi, che andavano dai 3 ai 6 ragazzi – o forse anche di più.
Io non mi mossi dal mio posto. Puntai gli occhi al vuoto, mentre nella mia mente scorrevano altre immagini di scene familiari su personaggi che mi sembrava di conoscere.
Fui riportata alla realtà non appena sentii una mano dalla forte presa fare pressione sulla mia spalla.
Scossi velocemente la testa per poi voltarmi e scoprire che quella mano era di Soul, la falce di Maka.
Aveva uno sguardo dolce ed intristito. A momenti, la Buki albina pareva irriconoscibile senza il suo solito ghigno o lo sguardo perennemente infastidito ed incupito.
Mi guardò per un paio di secondi con quei suoi occhi rosso scuro prima di cominciar a muovere le labbra per far uscire qualche parola dalla sua bocca.
«Mi dispiace tanto… Non vorrei darti le solite scontate condoglianze che danno tutti – sembrerei alquanto falso, e ciò non si addice di certo ad un ragazzo cool come me»>
Quel “cool” mi fece tornare, in qualche modo, il sorriso.
Certo, Soul poteva risultare veramente molto pesante alle volte, ma lui era uno dei pochi che sapeva come prendermi e farmi stare meglio.
Lasciai scappare una leggera risatina, tanto per allontanare l’amarezza del momento. Portai un polso agli occhi e ci asciugai le lacrime.
Alla risata, Soul arrossì imbarazzato e tornò con quel suo classico broncio. «He… hei! Non penso di aver detto nulla di tanto divertente» disse, come se si fosse offeso.
«Non prenderla come una presa in giro questa risata,» gli spiegai io. Intanto il nodo in gola mi si stava sciogliendo lentamente, e le lacrime stavano smettendo di rigarmi il volto. «Prendila piuttosto come soddisfazione personale»
Sì. Soddisfazione personale. In tutto quel tempo, l’unico che era stato capace di mettermi di buon umore era stato proprio Soul. Di certo non aveva fatto nulla di tanto speciale, ma il suo semplice fare da ribelle e, in un certo senso, anticonformista era riuscito a strapparmi un sorriso.
“Se lui fosse stato un Meister libero, sarebbe stato il mio partner perfetto” pensavo in quel momento.
Che strano: ero passata al picchiarlo al pensare di lui come un mio valido partner. Maka era una ragazza fortunata.
Davvero fortunata.
Soul sospirò leggermente, togliendo nuovamente il broncio.
“Cavolo”, pensai. “Sembra tutt’altra persona senza la fronte aggrottata.”
D’improvviso le sue braccia mi avvolsero e mi spinsero verso di lui: sentivo il suo calore e l’odore suo corporeo. Le sue grosse mani che premevano la mia schiena stringendomi al suo petto.
In un certo senso mi sentivo piuttosto imbarazzata, ma in pochi istanti mi dimenticai del mondo circostante. Avvolsi anche io Soul con le mie braccia – certamente non erano virili come e sue – e affondai la mia testa nella sua spalla.
Le mie guance, invece, si erano colorate di un leggero rosso, e le palpebre si chiusero.
La voglia di piangere era sparita del tutto. Mi sentivo felice vicino a lui.
«Ti prego, non fare più quei musi lunghi» disse quasi sussurrando.
La sua voce mi penetrò nell’orecchio. Così calda, rassicurante.
Non riuscii a trattenere un brivido che mi percosse tutta la schiena mentre, le mie guance, divennero ancora più rosse di prima.
Avvertii anche la temperatura del mio viso salire alle stelle, così come la velocità e la forza del mio battito cardiaco – a momenti, il mio cuore poteva sfondare la gabbia toracica.
Non parlai. Mi limitai ad annuire silenziosamente mentre mi godevo il mio posticino sulla sua spalla.
Restammo abbracciati per una manciata di secondi, quando poi Soul si allontanò lentamente.
Per salutarmi, mi diede una leggera pacca sulla spalla e mi sorrise con quel suo solito ghigno inimitabile, mostrando quasi con orgoglio i suoi denti aguzzi.
«Ora devo proprio tornare da Maka» disse. «Se non mi faccio vivo, potrei trovarmi un dizionario di dimensioni mastodontiche nel cranio» concluse, con una palese nota di ironia.
«Sì… certo... » dissi balbettando dall’imbarazzo – doveva aver notato il rossore sul mio viso, e ciò fece sì che io potessi diventare un amaranto più intenso.
Con un ultimo saluto dato scuotendo le mani, Soul si allontanò, iniziando a correre per poter arrivare il prima possibile dalla sua partner.

Quel fine settimana si tennero i funerali di Rei, ai quali parteciparono anche i suoi genitori venuti a Death City avvisati dell’accaduto.
La madre non riusciva a non smettere di piangere: il dolore che provava era veramente forte, un dolore che io non potevo capire, percepire.
Il dolore di una madre che, dopo quattordici anni di sacrifici e passati a fare di tutto per crescere il suo figlio sano e con i valori giusti, vede quest’ultimo cedere alla morte.
Il padre rimase, invece, inerme. Senza versare una sola lacrima. Ma sul suo viso si poteva benissimo leggere la sofferenza nell’aver perso il suo unico figlio. E guardava con apparente freddezza la tomba del ragazzo che, lentamente, veniva riposta sottoterra.
La consorte, invece, non aveva il coraggio di voltare gli occhi verso la bara. Era una scena troppo forte per lei. Tanto crudele quanto il destino toccato al ragazzo.
Così giovane e pieno di obiettivi da raggiungere. E poi, in un solo soffio, gli viene data via la vita come se nulla fosse.
Ai funerali vennero anche tutti i membri della DWMA, tra i quali notai, con sorpresa, la presenza di Meiry. Anche lui era freddo, ma non solo all’apparenza. Era vera freddezza la sua.
Era un mostro.
Lo era sempre stato sin dall’inizio. Sin da quando ci siamo incontrati la prima volta allo smistamento.
Come poteva una persona non sentirsi triste per la morte di un conoscente?
Era un mostro odioso. Senza un briciolo di umanità nell’animo.



***




Un giorno mi ritrovai a dover dare ripetizioni private ad una coppia di fratelli che avevano problemi con qualche materia di tipo umanistico.
Bussai alla porta, dopo aver passato circa tre o quattro minuti ad accertarmi che fosse quello l’indirizzo giusto – sono sempre stato un tipo abbastanza paranoico su queste cose.
Mi aprì una giovane donna dai capelli castani e ricci.
«Salve, lei deve essere il professor Owen Lewis» disse la donna, porgendomi la sua mano in segno di saluto.
Io la presi timidamente, per poi scuoterla con delicatezza.
«Salve, signora Cavendish» salutai con aria nervosa. «Lei deve essere la madre dei miei due alunni privati»
«Proprio così» replicò lei, facendomi entrare nel suo appartamento.
Alzai i miei occhi alla sala d’ingresso, ammirando le decorazioni quasi ottocentesche che caratterizzavano la stanza. Rimasi incantato alla visione.
«Mi dia il soprabito» mi disse la gentile signora.
La guardai distratto per qualche attimo prima di realizzare ciò che la donna disse. «Oh… certamente!», e subito le porsi la giacca.
Subito fui accompagnato nella camera dei due figli della donna: due ragazzi nell’età dell’adolescenza, uno castano, l’altro bruno; l’uno dallo sguardo freddo, uno dall’aria iperattiva.
«Salve ragazzi, io sarò il vostro professore privato. Chiamatemi Mr. Lewis»
EmiHaru

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