Soul Eater AXE

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Mensaje  EmiHaru Mar Jul 12, 2016 2:49 pm

Soul Eater (c) Atsushi Ohkubo and SQUARE ENIX
Soul Eater AXE (c) Emilia Harukaze


Story

Emilia Harukaze è una ragazza come gli altri, che vive insieme alla sua famiglia e frequenta la scuola regolarmente, ha i suoi amici, lo studio, le sue passioni ed i suoi sogni. Un giorno, però, la sua vita cambierà. Durante una rissa con una ragazza, dal braccio di Emilia spunta una grossa lama di ferro, molto ampia, che spaventa tutti i presenti, Emilia compresa che raccontò tutto ai genitori. Questi portarono la loro figlia ad un controllo dal medico che, dopo alcune analisi, fu felice di dichiarare loro che nelle vene di Emilia scorreva il sangue di una Buki, ovvero un essere umano che può prendere le sembianze di un'arma, e disse ai due genitori che dovevano portarla alla DWMA (Death Weapon Meister Academy), una scuola situata a Death City, in un punto della Death Valley in Nevada, dove potrà incontrare un Meister e rafforzare le sue capacità, per poi poter diventare la Death Scythe, la falce del Sommo Shinigami. I genitori non la trovarono un'idea malvagia ed un giorno, tristemente, dovettero lasciarla partire per questa scuola.

Alla DWMA Emilia incontrerà Rei Sado, un ragazzo che le farà da Meister molto attivo e con tanta voglia di creare una Death Scythe, Meiry Tsunoki, un ragazzo a-sociale che rimpiazzerà Rei e che pare abbia tutt'altro interesse alle anime di kishin e di strega, Maka Albarn, una piccola Meister che pare sia una mietitrice di anime, e Soul Evans, una Buki di tipo Falce per il quale, Emilia, proverà un amore ossessivo da Yandere.
Ma oltre a loro, Emilia farà altri molteplici incontri e vivrà molte avventure, ma soprattutto scoprirà di avere lo strano potere di vedere le anime seppur non è una Meister e proverà finalmente cosa significa essere un Kishin...

Personaggi

Emilia Harukaze:
AFAB | Cisgender | Het | Buki/Axe | Alive

Emilia Harukaze è una ragazza Napoletana che si ritroverà a frequentare la DWMA in seguito ad una lite, dove scoprirà di essere una Buki di tipo Ascia D'Oro del Falegname. Seppur è una Buki, Emilia ha il potere di vedere le anime e la loro lunghezza d'onda. Il suo partner sarà in un primo tempo Rei Sado, però alla fine diventerà Meiry Tsunoki. Prova un amore Yandere nei confronti di Soul. Frequenta l'EAT, nella classe Crescent Moon.

Rei Sado:
AMAB | Cisgender | Het | Shokukin | Dead

Rei Sado è un ragazzo di Hokkaido, un Meister di livello 1 con una personalità solare e vivace. Ha una grande ambizione nel far diventare Emilia l'arma del Sommo Shinigami. S'impegna molto ed è molto bravo nella scienza dell'anima. Anche lui può vedere le anime e la loro lunghezza d'onda e frequenta l'EAT con Emilia

Meiry Tsunoki:
AMAB | Non-Binary/Agender | Ace | Shokukin | Alive

Meiry Tsunoki ha origini sconosciute. E' un ragazzo a-sociale e diventerà il sucessivo Meister di Emilia, con la quale non collezionerà anime di kishin e streghe. Frequenterà l'EAT insieme ad Emilia.

Capitoli

- 1 - Ascia
- 2 - Analisi
- 3 - Buki
- 4 - Decisione
- 5 - Partenza
- 6 - Soul
- 7 - Presentazioni
- 8 - DWMA
- 9 - Partner
- 10 - Franken Stein
- 11 - Trasformazione
- 12 - Passato
- 13 - Missione
- 14 - Thomas
- 15 - Bellezza
- 16 - Meiry
- 17 - Funerali
- 18 - Affinità
- 19 - Promesse
- 20 - Anniversario
- 21 - Sangue
- 22- Rachele


Última edición por EmiHaru el Dom Mayo 21, 2017 7:03 pm, editado 22 veces
EmiHaru

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Mensaje  EmiHaru Mar Jul 12, 2016 2:59 pm

1 - ASCIA

«Su, svegliati, o farai tardi.» quella voce rimbombò nella mia stanza.
Avevo passato un'altra notte in bianco con quei maledetti videogiochi. Perché mi prendevano tanto? Mi facevano sentire un maschiaccio ribelle. E a me non piace sentirmi maschio.
«Sì arrivo.» dissi ancora dormiente. Non volevo alzarmi, ero ancora troppo stanca.
«E cerca di sbrigarti, sono le otto meno dieci.» concluse mia madre, allontanandosi dalla stanza.
All'inizio pensavo fosse la solita bufala, una di quelle volte che tua madre esagera sull'orario per farti svegliare presto, ma ben presto mi resi conto che mia madre non aveva fatto esagerato. L'orologio digitale accanto al mio letto segnava le 7,48. Sobbalzai e mi resi conto che in effetti erano le otto meno dieci.
M'affrettai a prepararmi per andare a scuola: non potevo fare di nuovo tardi a scuola.
Oh, giusto! Dimenticavo.
Salve, sono Emilia Harukaze, una ragazza Italiana. Una volta vivevo a Napoli. Non ho mai saputo perché ho un cognome giapponese, dev'essere stato a causa di qualche mio avo, dato che sia mia madre sia mio padre sono Napoletani puri al 100%. Frequentavo un liceo linguistico, che si trova non molto lontano da casa mia. Amo disegnare, leggere ed i videogiochi, e spesso faccio castelli in aria sul mio futuro o quant'altro e quindi passo per una ragazza sempre distratta.
Torniamo a noi. Questa sarebbe stata una giornata ordinaria, come al solito.
Cinque ore filate ad ascoltare i professori che ci ripetono sempre le stesse cose.
La solita pausa a metà giornata di cinque minuti.
E poi le urla starnazzanti dei ragazzi che esultanvano dopo aver finito una giornata di scuola.
Beh, ormai ero rassegnata all'idea di dover continuare così fino a quando non avrei avuto 23 anni, dopo aver preso la laurea per poi iniziare a lavorare.
Eppure sentivo che le cose sarebbero cambiate da un giorno all'altro.
Entrai in classe con quella grossa cartella pesante, caria di quaderni, libri e altra roba scolastica, e poi mi sedetti sbuffando.
Prima ora: matematica. La giornata non poteva iniziare peggio. Non sono forte in queste materie, anche se cerco sempre di mettercela tutta, ma nulla. Mi viene sempre un gran mal di testa. Per fortuna accanto a me avevo una delle mie amiche più care: Maria Luisa Bonora, che io chiamavo sempre Marilù. Nel cortile della scuola, mentre aspettavamo l'inizio delle lezioni, ci perdevamo in chiacchiere risate e...perché no? Anche gossip.
Al contrario di me, però, Marilù era brava in matematica: anzi un fenomeno!
Riusciva a risolvere problemi in pochi secondi, mentre io ci ragionavo per ore per poi arrivare alla soluzione, che poteva anche non essere giusta - e nel 98% dei casi sbagliavo sempre . Ma per fortuna quella è la mia unica pecca a scuola. Nelle altre materie vado abbastanza bene.
Marilù, però, era spesso presa in giro dai ragazzi più grandi di lei, e questo a me dava alquanto fastidio, dato che ogni volta l'istinto mi portava a picchiarli uno ad uno, ma loro tornavano sempre.
Io, invece, dall'età di 9 anni ho sofferto di una strana allucinazione: quando mi concentravo su una persona dal nulla usciva una sferetta azzurra al centro del petto, e questo molti dottori non sono riusciti a spiegarselo, ma questo non è di certo il motivo per il quale porto gli occhiali.
Alla fine della giornata uscimmo tutti da scuola, in tempo per tornare a casa all'ora di pranzo. Io e Marilù facevamo sempre metà strada insieme, per poi separarci ad un certo punto e rincontrarci il giorno seguente a scuola.
Quel giorno, proprio a metà strada ecco che una ragazza, all'apparenza diciassettenne e dall'aspetto affascinante, s'avvicina a noi. Pareva volesse qualcosa da Marilù.
«Hei, secchiona, se domani non porti le risposte del nostro compito di algebra ti faccio nera - e non ti conviene che accada.» disse la diciassettenne, già pronta a darle a Marilù di santa ragione. La mia amica tremava d paura, intanto annuì. Ed ecco che il mio istinto mi prevalse, ma stavo cercando di trattenermi, e magari solamente urlarle contro, così iniziai.
«Hei, tu...» le risposi dandole un bello spintone « .. tu non puoi dare ordini a nessuno.».
La ragazza mi ricambiò lo spintone, quasi buttandomi a terra. «Senti cosa, meglio che stai lontana da questa faccenda e nessuno si farà male.»
Quella voce tanto da snob...mi faceva innervosire non poco. Mi rialzai ed ecco che la buttai per terra, picchiandola. Anche lei picchiava me per difendersi, mentre Marilù ci implorava di smetterla, ma noi non le davamo ascolto.
D'improvviso al mio braccio sinistro accadde qualcosa di strano: uno strano oggetto ampio ed affilato, fatto di metallo, quasi fosse una lama. Quella lama era simile ad una di ascia.
Marilù e la ragazza diciassettenne si spaventarono alla visione di quella lama, e io non fui da meno. La lama sparì subito dopo, e la diciassettenne scappò impaurita. Cavoli! Dovevo averla spaventata a morte.
Marilù mi chiese se stavo bene. Non mi ero mai spaventata così tanto in vita mia. E nemmeno Marilù lo era mai stata.
«Non preoccuparti, tutto apposto. L'importante è che quella ragazza sia andata via.» la rassicurai, sorridendo. Intanto però io ero ancora preoccupata per ciò che era successo prima. Che fosse stata un'altra delle mie strane allucinazioni? No, quella non era una mia allucinazione. L'aveva vista anche Marilù quella lama fuoriuscire dal mio braccio. Cosa mi stava succedendo?
Non pensai ad altro durante il mio tragitto verso casa, e più ci pensavo e più credevo di non essere normale. Prima le strane allucinazioni ed ora questo. E in più avevo anche strani ricordi, di persone che parevano essere vissute anni fa. Dovevo essere forse rinchiusa in un manicomio? Sarei diventata una cavia? O ero stata posseduta da qualche strana anima defunta? Non ci volle molto per scoprirlo..
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Mensaje  EmiHaru Mar Jul 12, 2016 3:02 pm

2- ANALISI

Mi portai il ricordo di quella scena per un paio di giorni e, da allora - dopo che la notizia si diffuse -, tutti gli studenti della scuola ebbero un po' di timore di me, tranne Marilù. Anzi, lei lo trovava "ganzo", o almeno era quello che mi diceva. Non saprò mai se in realtà provava paura o se pensava davvero quelle cose, ma ciò non m'importava più di tanto.
«Caspita, Emilia! L'hai spaventata a morte quella lì! Se lo meritava.» diceva sempre entusiasta. Io facevo finta di esserne felice come lei, ma in realtà non la trovavo una cosa piacevole. Insomma...a chi mai potrebbe uscire una lama dal braccio? I miei genitori ancora non ne sapevano nulla di questa storia, e non ne volevo parlare per non farli preoccupare inutilmente. Ma mia madre aveva notato che ultimamente avevo un comportamento strano ed ansioso. Mi chiedeva che cosa mi stesse succedendo, ma io le rispondevo sempre che era tutto apposto, e che ero solo stanca. Ma il suo intuito materno le diceva che non era vero, e quindi tornava regolarmente a chiedere. Non sapevo più come tenere i miei all'oscuro di ciò, ma prima o poi lo avrebbero scoperto, come successe per le strane allucinazioni e per gli strani ricordi antichi. Spesso i miei zii mi ritenevano pazza e che dovevo andare in terapia, ma i miei non volevano.
Cosa avrebbero poi pensato i miei zii dopo aver saputo della lama che usciva dal braccio? Che ero posseduta dai demoni? O che ero io una ragazza demoniaca? Odiavo quelle persone, mettevano in giro cose fasulle, e meno male che i miei genitori cercavano di smentire tutto.
La cosa andò avanti per un pò.
«Emilia, perché non dici ai tuoi il tuo potere speciale?» mi chiese un giorno Marilù, sempre con il suo tono entusiasta.
«Dirlo ai miei genitori? No, li farei solo preoccupare.» risposi io.
«Tu dici? Io non credo.» mi rassicurò Marilù, dandomi una leggera pacca sulla schiena. In effetti aveva ragione, dovevo dirlo ai miei genitori. Ci pensai su per tutta la giornata scolastica, e poi decisi che dovevo dirglielo. Dopo la solita camminata verso casa in compagnia di Marilù, finalmente entrai nella mia dimora. Mia madre, come al solito, m'aspettava davanti alla porta di casa con il suo sorriso in faccia.
«Ciao, Emilia. Tutto bene?» mi chiese mia madre.
Io le sorrisi leggermente e la guardai attraverso i vetri dei miei occhiali bianchi. «Sì , mamma.» dissi poi, entrando a casa con l'intenzione di posare la cartella. Andai in camera mia, seguita da mia madre.
«Senti...vorrei parlarti, mamma.» dissi d'improvviso, mentre appoggiavo la mia cartella in un angolo della stanza. Poi mia madre mi guardò preoccupata e si sedette sul letto, facendomi cenno di mettermi accanto a lei. Ma proprio mentre mi stavo avvicinando a lei ecco che quella lama uscì di nuovo dal braccio. Io e mia madre rimasimo con il fiato sospeso, ed eravamo molto spaventate.
«Mamma...era proprio di questo che volevo parlarti...» disse io, quasi in lacrime talmente lo spavento. Dopo qualche secondo, però, la lama si ritirò di nuovo. Mia madre m'abbraccia forte. Anche lei pareva stesse lacrimando di paura. «Mamma...cosa mi sta accadendo?» le chiesi, paralizzata dal terrore e con gli occhi spalancati. Intanto la strinsi anche io. Anche lei era terrorizzata, ma non era la prima volta che le raccontavo fatti strani che m'accadevano. Le allucinazioni, i ricordi ed ora una grossa lama che fuoriusciva dal mio avambraccio sinistro.
Le raccontai come scoprii questo strano fenomeno, della diciassettenne che stava prendendo in giro Marilù e della rissa avuta con questa prima e di come, all'improvviso, apparve quella grossa lama che spaventò i presenti.
Si fece sera, e mio padre tornò dal lavoro. Mia madre gli raccontò tutto, mentre io ero nel mio letto cercando di addormentarmi. Ma le voci di mio padre e di mia madre me lo impedivano. Non riuscivo a sentire bene la conversazione, ma sentii le parole “domani mattina”, “dottore” e “probabile malattia grave”. Da quelle parole riuscii facilmente ad intuire che l'indomani volevano portarmi all'ospedale, e l'idea non mi piaceva affatto. Non sapevo perché, ma i dottori mi mettevano tanta tensione. Sarà per le tante terapie che facevano i dottori, che a volte erano molto dolorose.
Passai la notte quasi in bianco, pensando a quello che il medico potesse farmi per capire cosa mi stesse succedendo, o quale fosse l'esito finale delle analisi.
Fu una notte molto lunga, ma arrivò finalmente il mattino seguente. Mio padre era già andato a lavorare da un bel po', e mia madre mi svegliò, comunicandomi che quel giorno avrei saltato la scuola per andare dal dottore, e mi disse che dovevo prepararmi in fretta o avremmo fatto tardi.
Mi preparai in fretta, mettendo addosso la prima cosa che mi capitò sotto mano, tanto non sarei andata da nessuna parte in particolare se non a fare delle stupide analisi, che a mio parere non sarebbero servite a nulla. Cavoli, quanto mi seccava andare dal dottore! E siccome mia madre non aveva la patente dovevamo prendere il bus. Odiavo anche i mezzi pubblici, con tutta quella gente lì dentro non si riusciva a stare. Alcuni erano addirittura così sudati che il loro odore prendeva tutta l'aria, e non era gradevole respirare quell'aria cattiva. Mi faceva vomitare.
Per fortuna l'ospedale non era tanto lontano, ed il viaggio durò solo una decina di minuti, ma l'attesa nella sala dell'ospedale...quella è una delle cose che più m'innervosisce, anche perché rimanere ad aspettare il proprio turno è una rottura.
Arrivammo all'ospedale e prenotammo: eravamo i trentaduesimi della lista, ed erano ancora al paziente numero 19. Rimanemmo lì ad aspettare un ora e tre quarti, e finalmente arriva il nostro turno. Per fortuna portai la mia console portatile: un vecchio Nintendo DSi mezzo rotto che avevo da 6 anni, che a malapena funzionava e ogni tanto faceva i capricci e bloccava i giochi. Dovevo aspettare il mio compleanno per averne uno nuovo e funzionante.
«Numero 32!» d'improvviso urlò un dottore, affacciandosi dalla porta della stanza dove curavano i pazienti. Io e mia madre c'alzammo di scatto e raggiungemmo il dottore.
Chissà quali notizie m'avrebbero aspettata...
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Mensaje  EmiHaru Mar Jul 12, 2016 3:10 pm

3 - BUKI

«Numero 32!» d'improvviso urlò un dottore, affacciandosi dalla porta della stanza dove curavano i pazienti. Io e mia madre c'alzammo di scatto e raggiungemmo il dottore.

Entrammo nella saletta dove si curavano i pazienti. Non era né grande né piccola. Alla destra dell'entrata c'era un armadietto contenete vari documenti indecifrabili che solo uno che ha studiato medicina può capire, fatto di alluminio. Poco più in là c'era una scrivania con altre scartoffie e dietro a questa c'era una grossa libreria con album ad anelli, cartelle e altra roba. Alle pareti erano appese varie lauree e diplomi che portavano il nome di Luca Maisto (Che doveva essere il nome del medico) e sul soffitto una lunga lampada al neon. Più in fondo alla piccola stanza vi si trovava il letto dei pazienti, dove il dottore li visitava. Poco più lontano c'era un carrello con vari medicinali in boccette di strane forme e altri farmaci dai nomi impronunciabili. Tutta la stanza era illuminata da una grossa finestra in fondo alla stanza.
Il medico Luca che lavorava lì pareva un uomo sui 50 anni o poco più, con capelli neri ed arruffati e al collo appesi un paio di occhiali da vista, che metteva solamente per leggere e basta.
«Buongiorno, signora.» chiese il medico. La sua voce era un po' roca, ma giovanile. «Prego, si sieda lì.» continuò l'uomo, indicando il letto dei pazienti.
Con un po' di fatica ed ansia, io mi sedetti sul quel letto. Il materasso era sottile e molle, e rendeva il letto scomodissimo.
«Bene, signorina. Può dirmi per favore cosa le succede?» chiese il medico, avvicinandosi.
Io gli raccontai tutto. «Forse lei mi reputerà pazza, ma io ho strane illusioni dove, quando mi concentro su una persona, vedo una sfera azzurra apparire e ne sento l'essenza. Poi ho strani ricordi di persone vissute tempo fa, e non mi risultano fantasie o sogni, ma ricordo proprio di aver vissuto quei momenti. Ricordo di una coppia sposata vissuta 100 anni fa, dove il marito fu assassinato e la moglie morì di suicidio volendo raggiungere il marito, gettandosi da uno scoglio. In più due settimane fa uscì una strana lama dal braccio.» dissi, con la consapevolezza che il dottore le avrebbe detto che ero una pazza, da rinchiudere in un manicomio. Ma non fu così. Certo, il dottore rimase sorpreso dal mio racconto, soprattutto della parte dove raccontavo della lama che fuoriusciva dal braccio, intanto mi ascoltava interessato. Sarei diventata una cavia da laboratorio?
Il medico prese una siringa dall'ago molto lungo. Alla vista di quell'oggetto sobbalzai: avevo una paura matta di quegli aghi, e quando mi perforavano la pelle erano molto dolorosi. Ma dovetti accettare la situazione, dopotutto non m'avrebbero mica ucciso? Voleva solo prendere un campione del mio sangue ed analizzarlo. Ed ecco che il dottore infilò l'ago nel mio braccio, per poi estrarre del sangue. Poi lo mise in una provetta, ed infine lo analizzò per bene.
Quando poi finì dopo circa una quindicina di minuti, si voltò verso mia madre, con viso felice. Voleva dire che non avevo nessuna rara malattia? Come era possibile?
«Signora...» disse il dottore, con un sorriso a trentadue denti. «Preparatevi ad una notizia strabiliante.»
Mia madre lo guardò con una faccia confusa. Nemmeno lei sapeva il motivo di quel sorriso.
«Nelle vene di sua figlia scorre il sangue di una Buki, congratulazioni!» concluse il signor Luca, stringendo la mano di mia madre. Quest'ultima non aveva ancora capito. Buki? Cos'era? Una nuova malattia genetica? Una malformazione? E soprattutto...era mortale o meno?
«Una...Buki? Mi scusi, ma credo di non capire.» rispose mia madre, aggrottando la fronte, con un leggero sorriso ed imbarazzata nel non sapere cosa significasse quello strano termine. Il dottore rise leggermente imbarazzato.
«Haha, mi scusi. Giustamente lei non sa cosa sia una Buki. Una Buki, dal giapponese “Arma” è una persona che ha il potere di diventare un'arma di qualsiasi genere.» spiegò il medico, incrociando le braccia. Poi continuò: «Queste Buki vengono mandate in una scuola nel Nevada, a Death City. La scuola viene chiamata Death Weapon Meister Academy, o DWMA o semplicemente Shibusen. La scuola è supervisionata dallo Shinigami, e lì sua figlia potrà trovare una Shokukin, ovvero la persona che la bramerà e la potenzierà, e imparerà, grazie ad un'istruzione, ad affinare i suoi poteri per poi diventare una Death Scythe, ovvero l'arma suprema. Vi consiglierei di portare vostra figlia in quella scuola il prima possibile.».
Io rimasi affascinata dal mondo che il dottore stava descrivendo, e ne rimasi entusiasta. Mia madre, invece, pensava che il dottore fosse pazzo. «Mi scusi, ma credo che lei stia delirando.» rispose mia madre, incredula a ciò che stava raccontando il dottore.
«Se fossi veramente pazzo non starei qui a fare il dottore, non trova?» disse il dottore. «Per provare le mie veridicità chieda in giro. E poi ho anche mio figlio lì. Diceva di sentirsi abbastanza volenteroso da entrare nella EAT come Shokukin.» concluse.
«Caspita...» dissi io. «Deve essere veramente forte frequentare la Shibusen.».
«Sì, ma si trova in America, e come faremo a pagare il viaggio? I soldi non crescono mica sugli alberi, figlia mia?» replicò mia madre, pensierosa - e forse anche preoccupata. Di certo non m'avrebbe portata a frequentare una scuola del genere.
Il dottore sospirò. «Non può lasciare sua figlia qui. Sprecherà solamente lo straordinario potere del quale è in possesso.» disse, cercando di convincere mia madre di portarmi lì. «Dovrò pensarci...» disse infine mia madre distrattamente, mettendo una mano sulla guancia e guardando il basso.
Poi decisi di prendere anche io voce in capitolo, anche se cambiando bruscamente il discorso. «Scusi, e per le allucinazioni e gli strani ricordi?» chiesi io, ricordandomi degli altri problemi che mi affliggevano. Il dottore fece una faccia di disappunto, scrollando le spalle e scuotendo il capo.
«Mi dispiace, non ne ho idea.» rispose lui, dispiaciuto nel non poter dare una risposta.
Dopo la visita e quattro chiacchiere su quella strana scuola, io e mia madre uscimmo dalla saletta dell'ospedale. Io ero entusiasta del fatto che molto probabilmente avrei frequentato una scuola speciale. Mia madre invece ne era alquanto triste, forse non voleva che mi allontanassi da casa, da lei e dai miei amici.
«Mamma, allora cosa farai?» le chiesi io.
«Vedrò cosa possiamo fare. Certo vorrei portartici, ma non so se ne avremmo la possibilità.» rispose mia madre, dispiaciuta. «Poi ne parleremo con tuo padre, ok?» concluse poi mia madre.
«Va bene...» risposi io.
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Mensaje  EmiHaru Mar Jul 12, 2016 3:32 pm

4 - DECISIONE

C'avviammo verso la strada di casa, fermandoci alla fermata del bus, dove aspettammo che questo si fermasse per poi riportarci a casa.
L'autobus era meno pieno dell'andata, quasi deserto. C'eravamo io, mia madre ed altre quattro persone. Durante tutto il tragitto non abbiamo spiccicato una parola, né io né mia madre. Ogni tanto le davo delle occhiate, e vedevo che lei aveva uno sguardo dubbioso, quasi triste e preoccupato. Pensavo che la causa del malumore di mia madre fosse colpa mia. Ma che colpa avevo io di essere una Buki? Non lo avevo mica scelto io alla nascita? O forse sì e non me lo ricordo? Dopotutto non ricordo nulla prima della mia nascita. Ma lasciamo stare ciò.
Dopo altri 10 minuti di viaggio in bus, arrivammo alla fermata vicino a casa nostra che dovemmo raggiungere a piedi. La nostra “passeggiata” durò pochi minuti, ma durante la camminata nessuna delle due spiccicò una parola, ed io non osavo chiederle cosa stesse succedendo, per aura che mi rispondesse urlando. E piano piano il mio sogno di frequentare quella scuola andava piano piano svanendo. Ormai m'ero rassegnata, ed avevo la convinzione di non poterla frequentare, e di continuare ad andare ad un mero ed ordinario liceo.
Tornammo a casa, ed io mi diressi nella mia cameretta, zitta, posando il cappotto e la console.
Poi mi gettai nel letto ed inizia a leggere un manga, uno di quei manga shonen ultra violenti dove ad ogni pagina muore almeno un personaggio nei modi più ed impensabili. Mi piacevano per qualche strano motivo quei tipo di manga, e poi i personaggi erano quasi tutti dei fighi.
M'immersi nella lettura per un quarto d'ora o poco più, ma senza che me ne accorgessi m'addormentai, mentre nell'altra stanza si sentivano piatti sbattere fra di loro e l'acqua dal rubinetto che scorreva nel lavello. Probabilmente la mamma stava preparando il pranzo.
Dormii solo per una mezz'oretta, il tempo di riprendermi da tutta quella confusione nell'ospedale ed il viaggio di andata e ritorno, ma mi risvegliai e sentii la voce di mia madre parlare con un'altra persona. Era una voce femminile, per niente nuova: era la vicina di casa, che forse era venuta a sapere di quello che era successo e della visita all'ospedale.
«Perché te la tieni? Non vedi com'è strana? Dovresti rinchiuderla in un manicomio.» disse la donna che abitava di fronte a noi.
Mia madre sospirò: «Non dirlo nemmeno. Lei è mia figlia, e la tengo così com'è. Non seguire il branco, Solamente perché ha strane allucinazioni ed è una Buki non è un valido motivo per mandarla in un manicomio?».
«Senti, fa un po' come vuoi. Se te la vuoi tenere, tienila. >> quasi la rimproverò la donna, allontanadosi.
Quando andai a vedere cosa stesse succedendo, vidi che la donna non era sola, ma c'era anche suo marito, che pareva disapprovare ciò che la signora diceva.
«Andiamo, Giorgio.» la donna chiamò suo marito invitandolo a seguirlo, ma l'uomo si avvicinò a mia madre.
«Non darle retta. Perché non la mandi in Nevada alla DWMA? Lì c'è stato anche mio fratello minore, che anche lui è una Buki. Vedrai che non te ne pentirà. Tua figlia si sentirà come a casa.» le disse Giorgio.
Non ci cedevo, un'altra persona che diceva a mia madre a mandarmi in quella scuola. Forse se ciò fosse continuato a succedere mia madre si sarebbe convinta e mi avrebbe mandata finalmente alla DWMA.
Il signor Giorgio, poi, dopo un richiamo della moglie, raggiunse quest'ultima e varcarono l'entrata dell'appartamento, trascinandosi la porta dietro.
Dopo pochi secondi mia madre mi notò.
«Ah, eccoti Emy. Vieni, che è quasi pronto.» mi disse, mentre si dirigeva in cucina. Intanto io la seguii.
Durante l'ora di pranzo io e mia madre rimanemmo in silenzio, finché lei finalmente non parlò.
«Emilia...» disse mia madre, voltando il suo sguardo verso di me. «...se noi ti volessimo mandare in quella scuola in Nevada tu cosa penseresti?» mi chiese.
Io deglutii, avevo paura di rispondere sinceramente per la reazione che mia madre avrebbe avuto, ma decisi di dirle le cose come stavano. Presi un respiro e le risposi con tono deciso. «Mamma, devo essere sincera? A me piacerebbe andare in quella scuola! Per anni ho dovuto sopportare le altre persone che dicevano che ero pazza e che ero posseduta. Lì, invece, ci saranno ragazzi come me, e per loro sono una ragazza normale!» dissi, descrivendo il luogo come una seconda casa per me.
Mia madre sospirò e abbassò il capo.
Ecco perché avevo paura di risponderle con sincerità. La avevo resa triste, o almeno così credevo finché non mi voltò di nuovo la faccia. Aveva un leggero sorriso.
«Va bene. Stasera ne parlerò con tuo padre. Se lui sarà d'accordo vedremo di organizzarci per portarti in Nevada.» mi disse sorridente.
Non ci potevo credere! Corsi ad abbracciare mia madre, felice di sapere che se tutto fosse andato bene sarei finalmente partita per Nevada un giorno.
Il pomeriggio passò in fretta, ed arrivò la sera.
Sentii la porta aprirsi d'improvviso.
«Buona sera!» una voce maschile disse. Era mio padre.
«Oh, ciao. Dovevo proprio parlarti. Si tratta di nostra figlia.» rispose di mia madre, avvicinandosi al marito.
«Certo. Dimmi.» rispose poi mio padre.
Mia madre gli parlò della DWMA, del sangue di una Buki che scorreva in me e di come il dottore ed il marito della vicina di casa ne avevano parlato bene di questa scuola. Mio padre sembrava sorpreso della cosa, come fosse felice.
«Portala!» rispose mio padre d'improvviso.
Mia madre rimase alquanto attonita dalla risposta del marito.
Poi mio padre continuò: «Ecco, il fatto è che anche mio padre frequentò quella scuola come Shokukin, ed era uno dei più potenti. Riuscì anche a diventare un maestro di livello 3 e per un periodo fu anche un professore della DWMA. Per Emilia sarà un'esperienza imperdibile.»
Era fatta! Mia madre aveva avuto la risposta da suo marito, ed aveva detto di sì.
Mia madre gli sorrise. «Va bene. Porteremo Emilia in Nevada appena possibile.».
Volevo piangere di gioia, ma le lacrime si trasformarono in un grido di entusiasmo. Mi buttai a capofitto verso di loro e li abbracciai entrambi.
Non ero mai stata così felice in vita mia.
EmiHaru

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Mensaje  EmiHaru Mar Jul 12, 2016 7:17 pm

5 - PARTENZA

La fine della scuola si stava avvicinando, ed io ero sempre più emozionata. I miei mi avrebbero lasciata partire non appena sarebbe finita la scuola.
Io e Marilù stavamo, come al solito, percorrendo la strada verso casa e, come al solito, nessuno osava avvicinarsi a noi per paura di imbattersi nella mia lama.
«Quindi... andrai in America in Nevada in questa scuola speciale?» mi chiese Marilù, curiosa di saperne di più su questa scuola.
«Esattamente.» le risposi io, soddisfatta e con un grande sorriso sulla faccia. Marilù mutò l'espressione, da uno sguardo curioso ad uno sguardo un po' triste e malinconico, voltando il viso verso il basso. Io me ne accorsi, e la guardai con sguardo interrogativo.
«Hei, è tutto apposto, Marilù?» le chiesi, guardandola.
Marilù sospirò con fare triste, per poi rispondermi: «No, non è nulla. Il fatto è...è che già sento la tua mancanza. Chissà come saranno le giornate senza di te.».
Io le sorrisi e la abbracciai. «Dai, Marilù, non sarà per sempre. Tornerò a trovarti quando sarà possibile.».
La ragazza si consolò, e ricambiò il mio abbraccio. Fece un leggero sorriso. Dopo una leggera risatina fra tutte e due ritornammo a precorrere la strada di casa. Ormai mancavano solo tre giorni alla fine dell'anno, e i miei erano indaffaratissimi con i bagagli.
Ormai era una settimana che la mia camera era un po' sottosopra a causa dei preparativi. I miei genitori -ed io- eravamo indaffaratissimi per i preparativi, e piano piano il mio guardaroba diventava sempre più vuoto, quasi mi faceva pena.
Anche tutti i miei cassetti ormai piangevano ormai.
Dovevo comunque ancora abituarmi all'idea di partire per l'America da sola. Non ero mai uscita dalla città, figuriamoci uscire dall'Italia. La cosa mi faceva spavento, ma di sicuro lo staff scolastico mi avrebbe trovato un'abitazione, e pensando a questo mi tranquillizzavo. Ma l'ansia rimaneva.
Sarei partita la mattina presto del 3 giugno, e mancava una settimana ancora.
Durante la settimana molti vennero a trovarci per salutarmi e per darmi la buona fortuna con gli studi di questa speciale accademia. Molti di loro non mi sarebbero mancati affatto, anche perché molti erano quelli che mi ritenevano pazza e demoniaca. Come li avrei voluti soffocare, ma ho sempre tenuto le mie mani apposto.
Quella settimana passò - per mia sfortuna - molto lentamente, ed io non vedevo l'ora di partire, ma allo stesso tempo volevo rimanere qui a Napoli.

«Beh, Emilia, che dire? Fai buon viaggio e stammi benone.» disse la vicina di casa con fare così falso.
«Sarai di sicuro una brava Buki.» continuò il consorte, che però pareva veramente felice dell'esperienza che stavo per fare, e mi diede una pacca sulla spalla, in segno di buona fortuna.
Stranamente anche il medico che mi visitò qualche mese fa venne a conoscenza della mia partenza per la Nevada e, mentre eravamo a fare compere per il viaggio, lo incontrammo per strada. Lui mi guardò e mi sorrise.
«Complimenti, mia piccola Buki. Un giorno diventerai Death Scythe, ne sono sicuro.» mi disse contento il dottor Luca. Aveva avuto sempre grandi aspettative su di me in questo campo. E ogni volta mi convincevo sempre di più che ce l'avrei fatta a diventare Death Scythe, anche se furono pochi di loro ad appoggiarmi. Scoprii che anche alcuni miei professori erano alunni di questa scuola o avevano parenti che stavano studiando lì per capire la Scienza dell'Anima.
Cos'era la Scienza dell'Anima? L'avrei capito solo quando sarei finalmente arrivata alla DWMA.
La settimana passò, ed il famigerato 3 Giugno arrivò.
Mia madre e mio padre mi svegliarono alle 4:30 del mattino.
«Emilia! Su, alzati!» gridò mia madre dall'altra stanza. Davvero dovevamo partire così presto? Eppure era già tutto pronto.
«Dai, o faremo tardi. Dobbiamo arrivare presto all'aeroporto di Roma.» concluse mio padre, sempre gridando.
Vero. Dovevamo andare fino a Roma con l'auto, e ci sarebbero volute ore.
Mezz'ora per prepararci e per portare le valigie in auto, poi partimmo verso Roma.
Il cielo era ancora notturno, ma degli sprazzi di luce solare incominciavano già a vedersi, dando al cielo quella sfumatura violacea e arancione. La luna però era ancora ben visibile nel cielo che, ad ogni minuto, diventava sempre più azzurro. Le nuvole erano diventate grigiastre con sfumature azzurre e bianche, ed erano molto marcate, e piano piano le stelle scomparivano, dando spazio al cielo mattutino: non avevo mai visto l'alba.
L'aria era piuttosto fredda a quell'ora, infatti indossavo una giacchetta pesante. Intanto i sedili del retro, dove ero seduta anche io, era pieno di bagagli e mi sentivo soffocare dalle borse e dalle valigie. Forse avevo portato troppa roba, ma meglio troppo che troppo poco.
D'improvviso m'addormentai e, dopo ore passate in auto con i miei in viaggio verso Roma, mia madre mi svegliò.
«Emily, siamo arrivati.» disse, scuotendomi leggermente. Io mi svegliai con fatica: eravamo all'aereoporto.
Mio padre, invece, stava pensando a togliere quei grossi bagagli dall'auto, che parevano molto pesanti, proprio come sentivo le mie gambe dopo una dormita di 4 ore. Roma era diversa da Napoli, e gli abitanti parlavano un dialetto molto simpatico.
«Aooh, abbello!» sentii d'improvviso un uomo urlare. Mi misi a ridere leggermente.
Dopo una mezz'ora o poco più d'attesa si sentì una voce dall'altoparlante. «Attenzione. L'aereo per Nevada sarà qui fra dieci minuti. Vi chiediamo gentilmente di allontanarvi dalla linea di atterraggio. Grazie».
Ecco, stavo per andare via. I miei mi abbracciarono forte e mi augurarono buona fortuna e di stare attenta. Io li salutai e diedi un bacio sulla guancia ad entrambi, per poi allontanarmi, emozionata ed ansiosa. I miei mi guardarono allontanarmi, salutandomi con la mano. Mia madre stava per scoppiare in lacrime.
Aspettarono lì finché non arrivò l'aereo. Da lì uscirono molti passeggeri, alcuni erano anche stranieri e parlavano tutti lingue diverse. Sentii addirittura due arabi parlare fra loro, e la loro lingua era veramente strana.
Dopo che i passeggeri scesero, io salii sull'aereo lasciando i bagagli su un rullo trasportatore.
Mi sedetti: ero in seconda fila, non potevamo permetterci la prima economicamente, ma mi andava bene.
Misi gli auricolari nelle orecchie e misi una canzone con la quale mi ero fissata da un po': Makes me Wonder. Amavo quel gruppo.
Dopo un'ora circa l'aereo partì. All'inizio sentii le vertigini, ma mi ci abituai dopo poco.

Death City, sto arrivando!
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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:35 pm

6 - SOUL

Il viaggio durò molto e fu anche stancante, e mi addormentai anche per quattro ore filate.
Le hostess erano gentili e mi avevano anche dato un cuscino molto comodo dove potevo appoggiare la testa. I pasti erano buoni, come se stessi in prima classe, e sull'aereo non ero la sola ad andare fino a Death City per frequentare la DWMA.
Furono poco più di 10 ore consecutive di viaggio, e vedere il paesaggio dalla finestra dell'aereo era spettacolare: eravamo sopra le nuvole, anche se sembrava che ci fosse la nebbia, ma non importava.
Dopo ore ed ore di viaggio, ecco una voce dall'aereo attira l'attenzione dei passeggeri.
«Siamo arrivati a Nevada. Sono le tre del mattino e la temperatura è di 19°C. Grazie per aver scelto la nostra compagnia.».
E con quella frase l'aereo atterrò perfettamente sulla linea di atterraggio. Poi le porte del mezzo di volo si aprirono e tutti quanti uscimmo e ci dirigemmo verso il rullo trasportatore a prendere i nostri bagagli.
Però caspita, erano le tre del mattino, dove potevo passare la notte? E come potevo convertire i soldi che mia madre e mio padre mi avevano lasciato? Avevo fatto una cavolata a partire di mattina. Senza convertire i soldi non potevo pagarmi nemmeno una notte in un hotel, ma stranamente quella notte la fortuna era dalla mia parte. Sentii il rombo di una motocicletta provenire da lontano, ma che piano piano si stava avvicinando. I suoi fari mi stavano accecando mano mano che si avvicinava. Il ragazzo che guidava quella moto doveva avermi vista, datosi che si fermò a un metro da me. Aveva i capelli color argento, corti e spettinati, tenuti sopra con un sottile cerchietto nero. Aveva indosso una giacca nera di pelle ed una t-shirt arancione, un paio di jeans beige o un paio di scarpe nere. I suoi occhi erano rosso cremisi e aveva la pelle scura.
Come ho già detto, quel ragazzo si fermò davanti a me e mi guardò con quei occhi così inquietanti, ma brillanti come due rubini.
«Hei, hai bisogno di aiuto?» chiese d'improvviso. La sua voce era così calda e possente, e dava tutta l'aria di essere un ragazzo ribelle.
Io lo guardai con una mano davanti agli occhi, cercando di non accecarmi con i fari di quella moto arancione e lucente.
«Ecco...mi farebbe piacere.» risposi io, timidamente e cercando di mettere a fuoco l'immagine del ragazzo, che mi fece cenno con la testa di salire sulla moto.
«Salta su.» disse poi il ragazzo albino.
Io mi avvicinai e salii, mentre lui prese i miei bagagli caricandoseli sotto il sedile della moto.
«Dove ti porto?» mi chiese poi il ragazzo, mettendo in moto il suo mezzo.
«Potresti portarmi in un luogo dove potrei cambiare i soldi? Sai, da noi non si usano i dollari.» risposi io, stringendomi a lui e preparandomi alla partenza.
Il ragazzo fece una piccola risatina. «Perché invece non ti fermi da noi stanotte? Domani ti porto poi a fare il cambio.» concluse il ragazzo, invitandomi gentilmente a dormire da lui e la sua famiglia, o almeno pensavo lo fosse.
«Beh...se a voi non da fastidio mi farebbe piacere.» risposi io, nervosa.
Il ragazzo fece un'altra risata, più rumorosa però, aprendo la bocca, dove potevo notare la sua strana dentatura: aveva tutti i denti appuntiti, e questo mi faceva un po' paura. Potevo veramente fidarmi di questo ragazzo? In ogni caso lui mi rispose sorridendo: «Se mi davi fastidio non te l'avrei mai chiesto.».
«Beh, ok.» gli risposi io, ricambiandogli il sorriso. Ero un po' spaventata dall'aspetto di quel ragazzo, ma decisi poi di fidarmi.
La moto partì. Un rombo ruppe il silenzio della notte e i fari illuminarono lo scenario scuro, aiutando la luna sorridente nel cielo.
«Oh, giusto. Sono proprio scostumato. Mi chiamo Soul Evans, per molti anche Soul Eater Evans o solamente Soul, tu?.» disse d'improvviso l'albino, gridando per accavallare il rombo della motocicletta.
«Emilia Harukaze, ma chiamami Emily o Emy, se preferisci.» gli risposi io, cercando di farmi sentire da Soul.
«Beh, allora benvenuta a Death City, Emilia!» mi disse il ragazzo, calorosamente. «Perché non ti guardi a sinistra?» continuò poi, voltandosi anche lui nella direzione da lui stabilita. Io mi voltai: da lontano tre enormi candele accese che illuminavano la notte, collegate ad un grosso edificio, pieno di teschi. Era un incanto. Io lo guardai entusiasta, senza fiato e a bocca aperta.
«Ti piace?» mi chiese Soul, altrettanto incantato dalla visione.
«E' bellissimo.» gli risposi, senza staccare gli occhi dall'edificio all'orizzonte.
«Quella è la DWMA, o anche detta Shibusen.» mi spiegò il ragazzo dagli occhi rubino. Quella era la DWMA? Non ci potevo credere, era meravigliosa. Ci dovevano aver messo anni per aver costruito un edificio così grande e così ben strutturato. Intanto la moto continuava a camminare.
Dopo qualche minuto, Soul frenò davanti ad un palazzo dalla forma stravagante.
«Eccoci qui.» disse Soul, scendendo dalla moto. Poi prese i miei bagagli dicendo: «Lascia che li porti io.»
«Ma non saranno troppo pesanti?» gli chiesi poi, in tono preoccupato. Volevo aiutarlo a portare su i bagagli. «E poi starò qui solo per una notte, non dovrò mica passare tutto il periodo di studi?» conclusi poi.
«Naah, non ti preoccupare.» mi rassicurò poi il ragazzo dai capelli argento, prendendo una valigia e portandosela in spalla, senza alcuna fatica: era veramente molto forte. «Vieni. Sali.» continuò poi, iniziando a salire le scale, quasi non sentisse il peso delle mie valigie sulle spalle.
Dopo qualche piano, finalmente arrivammo all'appartamento dove Soul viveva. Bussò alla porta e subito una voce femminile rispose.
«Arrivo.» quella voce era veramente dolce, sembrava di una bambina.
Dopo qualche secondo aprì la porta. Mi ritrovai di fronte una ragazza bassina, con dei capelli biondo cenere, lunghi e legati in due codini sottili. Aveva due occhi verdi, quasi smeraldo. Era magra e aveva una pelle molto pallida, un piccolo nasino e un sorriso molto tenero.
La bionda mi guardò, stringendo gli occhi. «Soul, lei chi è?» disse, facendo uno sguardo sospetto verso il suo coinquilino.
«Oh, giusto! Lei è Emilia Harukaze.» le rispose Soul, presentandomi.
«Emilia, lei è Maka Albarn, la mia coinquilina.» concluse poi Soul, guardandomi sorridente.
Io tesi la mano a Maka, che me la strinse. Aveva una mano piccolina e un tatto delicato, quasi sembrava fosse fragile. Maka mi sorrise.
«Non ti dispiace, vero, se rimane con noi? Almeno finché non trova un alloggio.» chiese Soul a Maka, un po' nervoso per la risposta
«Beeeh...» rispose Maka. Poi mi diede un'occhiata e mi guardò per qualche secondo.
«Beh, perché no? Benvenuta, Emilia.» mi sorrise infine la ragazza dandomi una pacca sulla spalla.
Iniziavo già a sentirmi a casa.
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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:38 pm

7 - PRESENTAZIONI

Maka ci fece entrare tutti e due.
«Prego.» disse poi Maka. «Devi essere affamata. Ti porto qualcosa.» concluse la ragazzina.
«Beh...grazie.» risposi io, imbarazzata. Poi diedi una piccola occhiata in giro per la casa: era piccola ma accogliente.
D'improvviso sentii una pacca sulla schiena, poi la voce calda di Soul che risuonò nelle mie orecchie. «Dai, non rimanere qui. Fa come se fossi a casa tua. >> mi disse Soul, in tono amichevole e trascinandomi dentro.
«Accomodati pure.» concluse il ragazzo albino, facendomi sedere sul divano.
Io annuii e mi sedetti in silenzio. Mi guardai intorno timidamente senza fiatare e, dopo pochi secondi, ecco Maka arrivare con una fetta di dolce in un vassoio, che poggiò sul tavolo che si trovava davanti al sofà sul quale mi ci ero seduta. Una crostata di pesca, per essere più precisi, con un bicchiere di succo d'arancia.
«Tieni, e non fare complimenti.» mi disse Maka, sorridendo.
«Beh...grazie.» risposi io, non sapendo cosa dire e con tono abbastanza timido.
Mentre mangiavo, Soul e Maka si sedettero affianco a me, lasciandomi nel mezzo.
«Allora Emilia...tu vieni dall'Italia, giusto?» mi chiese Maka, curiosa. Io le annuii come risposta.
«E come mai sei qui da sola?» mi chiese poi Soul. Io mi voltai verso il ragazzo e gli risposi: «Sono qui per studiare alla DWMA.».
Il silenzio. Soul e Maka si scambiarono un occhiata, poi mi guardarono e mi sorrisero e mi si fiondarono addosso per darmi un abbraccio fortissimo. Sembravano felici della cosa. Lanciarono un urlo di gioia così forte che svegliarono un ipotetico terzo coinquilino: una gattina viola e con un cappello da strega del medesimo colore e dalla larga falda uscì da una stanza, stropicciandosi un occhio con una zampa.
«Cosa succede?» chiese la gatta. Io la guardai stranita: non avevo mai sentito un gatto parlare!
«Oh, Blair. Scusa. Non volevamo svegliarti.» si scusò Maka, rivolgendosi alla gatta che, da quel che avevo capito, si chiamava Blair. «Blair, lei è Emilia e si fermerà da noi stasera, e frequenterà la DWMA con me e Soul.» continuò la ragazza.
La gatta viola doveva essersi emozionata, dato che i suoi occhi color ambra iniziarono a brillare. «Sul serio?» chiese la gatta che, subito dopo, fu coperta da una nuvola lilla. Quando quel fumo si dissolse al posto della gatta mi ritrovai una ragazza alta e molto prosperosa, con addosso solo intimo sexy di colore viola scurissimo. Aveva lunghi capelli lisci, sempre viola, e due grandi occhi ambra e un muso da gattino. Sulla testa spuntavano due orecchie feline.
La ragazza/gatto mi si avvicinò entusiasta e mi prese le mani. Io guardai le sue mani, e notai che aveva delle unghia lunghe e ben curate, con dello smalto rosa perla sopra.
«Piacere, il mio nome è Blair!» mi disse la gatta.
«Salve, Blair. Sono Emilia Harukaze e vengo dall'Italia.» le risposi io.
«Stanotte rimarrà qui. Dormirà con noi.» concluse Maka.
«A proposito...» aggiunse Soul, portando lo sguardo sul polso dove teneva legato un orologio. «...sono le tre di notte, meglio andare a dormire o nessuno domani si sveglia.» concluse il ragazzo dagli occhi rubino.
«Hai ragione.» rispose la ragazza coi i codini, dando una piccola occhiata alla finestra, guardando la luna.
«Ragazzi!» li chiamai io. «Io...io dove posso dormire?» chiesi loro, con vergogna. Sentivo di non aver fatto bene a chiedere, ma Maka mi si avvicinò lentamente sorridendomi leggermente. Poi si fermò davanti a me: era non poco più bassa di me, forse ero io la gigante.
«Tu verrai a dormire con me, nel mio letto.» mi rispose la ragazza, quasi felice.
Spalancai gli occhi, poi le sorrisi. «Va bene, grazie Maka.» le risposi io.
«Va bene.» disse Soul, stiracchiandosi «E' ora di darsi la buona notte.» continuò, e fece per andare. «Buonanotte!» e detto ciò l'albino si chiuse in camera sua.
Blair, invece, ritornò nella sua forma gatto e seguì il ragazzo.
Infine Maka si diresse verso la camera sua facendomi cenno di seguirla.
«Maka...ti dispiace se mi cambio nel bagno?» le chiesi io. Avevo sempre vergogna di spogliarmi davanti alle persone, addirittura davanti a mia madre.
«Certo. E' in fondo al corridoio.» mi rispose la ragazza. E così m'affrettai a prendere il pigiama dalla mia valigia e mi diressi al bagno, anche guardando un po' le fattezze della casa. Non mi dispiaceva affatto passare una notte con loro.
Mi misi il pigiama, che consisteva in due pezzi: una maglietta a bretelle di colore verde smeraldo e dei pantaloncini blu, tendenti al colore degli jeans, per poi ritornare nella cameretta di Maka. Quest'ultima, invece, indossava un pigiama composto da una maglia a maniche lunghe e pantaloni lunghi, entrambi a righe gialle e verdi.
«Oh, eccoti Emilia. Vieni.» disse Maka, invitandomi a stendermi sul letto. E così feci.
Il materasso era un po' duro e mi risultava strano starci sopra, ma d'altronde è quello che si sente ogni qualvolta si cambi letto.
Maka spense l'abat-jour sul comodino di fronte al letto. «Beh, allora buonanotte.» disse Maka, per poi stendersi e coprirsi con un lenzuolo.
«Buonanotte, Maka.» risposi io, e poi mi stesi. Fu un'impresa addormentarmi, ero eccitata e anche agitata, perché il giorni seguente sarebbe stato il mio primo giorno da studente della DWMA e avrei finalmente iniziato ad affinare le mie capacità. E poi per il mio orologio biologico era mattina.
Dopo vari pensieri e fantasie nel letto, finalmente riuscii ad addormentarmi, e la notte passò in niente.

Mi svegliai molto presto quella mattina, che erano solamente le 5,50, ma il sole era già alto nel cielo.
Maka ancora dormiva beatamente, con i codini che le cadevano sul viso ed un'espressione angelica. Non volevo svegliarla, e aspettai sul letto che si svegliasse di sua spontanea volontà, ma per quello dovetti aspettare le 6,30.
Maka si svegliò spontaneamente e si stirò.
«Buongiorno, Emilia.» mi disse, con voce bassa e roca e stropicciandosi un occhio.
«Biongiorno anche a te, Maka.» le risposi io.
«Sei sveglia da molto?» mi chiese la bionda.
«No, affatto.» le risposi io, ridacchiando.
«Va beh...» disse Maka, alzandosi «...meglio che prepari la colazione. Tra poco devo anche svegliare Soul.»
«Ok, Maka. Vuoi che ti aiuti?» le chiesi io gentilmente.
«No, tu sei un'ospite e non devi scomodarti.» mi rispose Maka. «Non preoccuparti. E poi a me piace cucinare.» continuò Maka, togliendosi il pigiama. Imbarazzata, mi voltai dall'altra parte. Avevo vergogna anche di vedere gli altri nudi. Aspettai che Maka si vestisse del tutto, con qualche controllatina ogni tanto.
«Allora io preparo la colazione.» disse Maka, uscendo dalla camera. Io le annuii e poi, quando la ragazza uscì, io chiusi la porta della cameretta, cambiandomi di abito, per poi avviarmi in cucina: guardavo Maka cucinare, era abile ai fornelli.
Si fecero le sette del mattino, e Maka mi chiese di andare a svegliare Soul, oppure - come disse lei - sarebbe stato capace di non svegliarsi fino a mezzogiorno.
Mi diressi verso la camera di Soul, e gli bussai per vedere se era già sveglio.
«Soul? Sei sveglio?». Silenzio. Riprovai.
«Soul?». Ancora nessuna risposta. Allora entrai.
Rimasi sbalordita alla visione della camera: era praticamente un campo di battaglia!
C'era carta ovunque, e non ci si poteva camminare. Sulle pareti aveva poster su poster e sulla scrivania c'erano sparpagliati quaderni.
Soul, intanto, dormiva indisturbato in una posizione oscena, con le gambe allargate e una mano nella maglietta del pigiama e una sopra la testa, mentre una striscia di saliva gli scorreva sul labbro inferiore. Sopra di lui si era accoccolato Blair.
Mi avvicinai al ragazzo dormiente e lo scossi.
«Soul, sveglia.» gli dissi, ma quello che lui fece era rigirarsi dall'altra parte.
«Soul!» dissi in tono più alto. Nulla.
«Soul!» gridai una terza volta, ma nulla.
Persi la pazienza e lo trascinai via dal letto, facendogli cadere la testa sul pavimento in modo molto violento, tanto da svegliarlo.
Fece un gemito di dolore e si mise le mani sul punto dolorante.
«Ma che? Sei matta?» mi chiese Soul, nervoso per il modo in cui lo svegliai.
«Vieni, che Maka ed io siamo pronte da un pezzo.» gli risposi io, allontanandomi. «Ah, e questa stanza è un porcile! Vedi di rimetterla a posto.» conclusi io.
«Mmmh...forse non ho fatto bene a portarmela qui.».
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Mensaje  EmiHaru Jue Jul 14, 2016 7:40 pm

8 - DWMA

Mi avviai nella stanza dove si trovava Maka, che era ai fornelli a finire di preparare la colazione.
«Eccomi, Maka. Dovrebbe arrivare qui a minuti, spero.» le dissi io, guardandomi dietro per vedere se Soul stava effettivamente raggiungendoci.
«Grazie, Emilia.» mi sorrise Maka, iniziando a mettere la colazione sul tavolo.
Era una tipica colazione Americana, con uova e pancetta. A momenti mi veniva la nausea: ero solita a mangiare qualcosa di fresco e dolce, ma non potevo rimanere a digiuno a scuola, quindi accettai il pasto.
Soul, dopo un paio di minuti, finalmente uscì dalla camera, seguito dalla gatta Blair che doveva avere fame. Infatti Maka le abbassò una ciotola di latte che lei iniziò a bere indisturbata.
«Allora ti sei svegliato?» disse Maka a Soul, quasi volesse deriderlo.
Soul si sedette a tavola, quasi fosse infastidito dal tono di Maka e guardando storta quest'ultima. «Ha-ha. Spiritosa.» rispose il ragazzo albino alla sua coinquilina, con tono sarcastico. «Di certo non è stato uno dei risvegli più belli di tutti.» continuò poi Soul, guardandomi male. Voleva forse vendicarsi di come lo avevo svegliato. A quel punto dovevo prepararmi per la presunta mattina dove sarebbe stato Soul a buttarmi violentemente dal letto per svegliarmi. Intanto feci una piccola risata sotto i baffi.
«Non importa. L'importante è che ora siamo tutti svegli. Su, ora mangiate.» disse Maka, frettolosamente e sedendosi a tavola.
«Ma come? Mi ha praticamente buttato a terra!» ribatté Soul, urlando verso la coinquilina, che pareva non voler sorbire il discorso. Tutto quello che gli disse fu «Mangia!» in tono abbastanza freddo.
L'albino sbuffò, e iniziò a mangiare. Intanto mi chiedevo se ogni mattina avrei dovuto sorbire i loro litigi.
Quando uscimmo di casa sembrava che noi tutti avessimo dimenticato quell'inutile battibecco e ci dirigemmo verso il luogo dove Soul teneva la sua moto.
«Dobbiamo andare a scuola in moto?» chiesi io.
«Sì. Ti dà fastidio?» rispose Soul, mentre cacciava fuori la moto.
«No, non è questo. E che non so se in tre possiamo andarci in moto.» dissi io, in tono preoccupato. Di certo non avrebbe fatto piacere né a me, né a Maka e né - soprattutto - a Soul ricevere una multa.
«Sta tranquilla. Fidati.» mi tranquillizzò il ragazzo, facendomi un sorriso di conforto. Poi salì sulla moto. «Su, salite!» disse poi Soul, accendendo il motore del mezzo, del quale colore brillava alla luce del sole. Maka salì sulla moto arancione fiammante, abbracciandosi a Soul. Poi salii io, abbracciandomi alla ragazza dai sottili codini. Dopo pochi secondi ecco che la moto sfrecciò verso la strada per andare alla DWMA.
Non ci volle molto per arrivare alla scuola. Dopo qualche minuto ecco che ci fermammo davanti ad una lunga scalinata. Mi venivano le vertigini solo a guardarla. Rimasi a fissare la grande scalinata per qualche secondo, finché Soul, con un sonoro «Ehi!» non mi fece scendere dalle nuvole.
Scossi la testa e rivolsi lo sguardo verso Soul e Maka. «Arrivo!» dissi io, scendendo dalla moto.
Iniziammo a salire le scale e, dopo aver salito trenta o quaranta gradini già ero sfinita, al contrario di Soul e Maka, che parevano essere abituati a questo.
D'improvviso decisi di fermarmi per riprendere fiato, ma i due non s'accorsero che rimasi indietro, continuando a salire le scale senza sentire la minima fatica. E intanto io non m'accorsi che Soul e Maka, dopo un minuto, erano già arrivati all'entrata della scuola.
Quanti gradini potevano essere? Cento? Duecento? Non lo sapevo. L'unica cosa che potevo dire che certezza era che erano pesantissimi. Le gambe mi si erano appesantite e, dopo che mi accorsi che i due ragazzi erano “spariti” decisi di raggiungerli. Inutile dire che andavo lentissima. Come facevano quelli lì a salire quelle scale? E perché erano così tante?
Non ce la facevo più. Ma per fortuna, dopo chissà quanto tempo, riuscii a salire tutti quei gradini.
Mi buttai a terra, sudata e affannata. A malapena respiravo.
«Anf...anf...ce l'ho fatta!» dissi io, soddisfatta.
«Tutto apposto?» una voce maschile attraversò le mie orecchie. Mi voltai verso di lui. Pensavo fosse Soul, che m'aveva aspettato insieme a Maka lassù , ma non era lui. Era un ragazzo dai capelli neri, con un codino dietro la testa e un ciuffo che gli copriva un occhio. Era seduto sul davanzale del balcone di quella che doveva essere la terrazza della scuola. Io lo guardai, con aria stremata, poi mi alzai.
«Se salire trecentomila scalini è la cosa più divertente da fare direi di sì.» risposi io, in modo sarcastico. Non ci volle molto per farmi notare che, indosso a quel ragazzo, c'era un cartello con scritto “Meister”.
«Ma... allora sei uno nuovo!» dissi io, quasi gridando e guardando stupita il ragazzo.
«Uhm... direi di sì... Ma perché ti sto parlando?» mi disse, in tono distaccato. «Perché non vai a prendere il tuo cartello e vai a cercarti un partner?» concluse poi il ragazzo, in modo sgarbato.
«Beh, scusami il disturbo, allora?» gli risposi, innervosita dall'atteggiamento del Meister. E così andai dentro la scuola, sperando di ritrovare Soul e Maka da qualche parte. Dopo qualche minuto, però, furono loro a trovare me.
«Eccoti, Emilia! Dove ti eri cacciata?» mi chiese Maka, guardandomi preoccupata.
«Non ti permettere più di allontanarti! Ci hai fatto venire un colpo!» mi rimproverò Soul, dandomi un leggero pugno sulla testa.
«Uhm... scusatemi tanto, ragazzi. Sono rimasta indietro.» dissi io, con tono dispiaciuto.
Maka tirò un sospiro, a metà tra il sollevato e il “non farmi più preoccupare”, per poi abbracciarmi, schiacciando il suo viso sul mio petto. Certo che era veramente bassa. Doveva essere più piccola di me in età. Forse molto.
Poi Maka si staccò da me.
«Su vieni. Ci sono delle persone che ti devo presentare.» mi disse Maka sorridente.
Mi prese il polso con la sua piccola mano e mi trascinò con lei, facendomi correre. Intanto Soul faceva fatica a seguirci.
Stavo per fare nuove amicizie? Di già? Cavoli, la vita non poteva andare meglio. E chissà se avrei trovato anche la mia anima gemella.
Intanto la sala principale della scuola era impossibile da percorrere: c'era troppa gente! Però era ben strutturata sua all'esterno che all'interno. I corridoi erano larghi e pieni di candelabri appesi alle pareti e le porte delle aule erano di legno con i pomi di metallo colorato di giallo, forse addirittura era ottone quel materiale.
Dopo aver percorso faticosamente la strada ecco che Maka mi portò vicino ad un gruppo di ragazzi, che stavano chiacchierando.
«Hei ragazzi!» gridò Maka, attirando l'attenzione del gruppo. I ragazzi guardarono la ragazza bionda, seguita dall'inseparabile coinquilino albino.
«Eccoti, Maka!» disse uno di loro, con una voce alta ed un po' stridula.
« Ragazzi, vi presento Emilia Harukaze. Viene dall'Italia e questo è il suo primo giorno di scuola qui alla DWMA.» disse poi Maka, presentandomi al gruppo, e rispose in coro: «Benvenuta Emilia.».
Io sorrisi a tutti. In quella scuola, almeno, non mi sarei sentita sola.
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